La premessa è questa: mio padre ha fatto il marittimo per tutta la vita, mio nonno ha fatto il marittimo per tutta la vita, mio bisnonno ha fatto il marittimo per tutta la vita. Io non ho fatto il marittimo nemmeno un giorno, anche se per tradizione familiare ho il libretto di navigazione, in compenso ho fatto il servizio di leva (17 mesi) presso la Capitaneria di Porto di Livorno, quella che si è occupata dei soccorsi della Costa Concordia.
Questo per dire che del drammatico argomento che ha invaso la rete in questi giorni, e cioè l’incidente della nave Costa, potrei parlare con cognizione di causa, ma il mio punto di vista non arricchirebbe la discussione. Mi interessa parlare invece delle implicazioni che un avvenimento del genere può avere sulla comunicazione.
Mio padre ha fatto tre naufragi. Uno di questi, quello con la Federico Costa, come dinamica è simile a quello del 13 gennaio. Il Comandante dell’epoca passò troppo vicino alla costa perché voleva fare degli scatti fotografici, era un appassionato di fotografia, prese gli scogli e iniziò a imbarcare acqua. Ebbe la prontezza di fare manovra e cercare una secca per non affondare.
Le differenze fra i due episodi sono poche ma sostanziali. La Federico Costa non si inclinò e permise quindi un’evacuazione tranquilla a tutti i turisti e ai membri dell’equipaggio, l’incidente avvenne lontano dal Mediterraneo, ma soprattutto in un’epoca in cui non esisteva internet e tantomeno gli smartphone. Un’epoca in cui nessuno aveva la possibilità di filmare un avvenimento del genere perché le videocamere pesavano almeno venti chili e costavano decine di milioni di lire.
Ho cercato su internet qualcosa che parlasse del naufragio della Federico Costa. Non ho trovato niente. Mentre non posso fare a meno di leggere oppure di vedere in rete, ogni cinque minuti, qualcosa circa la Costa Concordia. Quello che so sulla Federico Costa lo conosco solo attraverso i racconti di mio padre. E mi chiedo: sarà stato assolutamente fedele alla verità? Non lo so. O meglio: non posso saperlo con certezza.
Posso invece sapere con certezza che il comandante Francesco Schettino non ha detto la verità riguardo il naufragio della sua nave: sono troppe le prove audio e video che lo contraddicono. E ne usciranno sempre di più con il passare del tempo.
Siamo nell’epoca della tecnologia e della condivisione: sopra quella nave c’erano 4.000 persone. Quante di loro avevano uno smartphone? Quante erano iscritte a Facebook?
Trent’anni fa Schettino se la sarebbe cavata meglio. Lo avrebbero incolpato lo stesso, probabilmente, ma non avrebbe fatto quella figura da infame, da irresponsabile e da codardo che sta facendo oggi. Ogni sua affermazione viene subito contraddetta da una prova documentata. L’ultima dichiarazione, che è sceso dalla nave perché è inciampato e caduto sopra una scialuppa, verrà ritrattata da lui stesso dopo che qualcuno avrà consegnato ai giornali un video fatto con il telefonino in cui spintona la gente per salire sul barchino e salvarsi.
Schettino, oltre a essere un criminale, è un povero ignorante: non ha capito che i tempi sono cambiati. Le sue menzogne sono fragili, rese inutili dalla tecnologia e dalla possibilità di condivisione che oggi è a disposizione di tutti.
Di fronte al potere di informare che oggi ha la gente, anche la comunicazione dei brand è molto vulnerabile. Ho osservato con interesse e attenzione la gestione della fanpage di Costa durante il disastro. Non so chi si occupi delle digital pr di Costa, ma posso dire che hanno fatto un ottimo lavoro. Purtroppo anche il più grande genio delle pr è impotente di fronte alle notizie, crudemente documentate, che escono fuori in continuazione.
La compagnia prende le distanze dal comandate: “…errore umano… ha modificato la rotta senza che noi ne sapessimo niente… per noi la sicurezza è la prima cosa…” Poi esce fuori che qualche mese fa nel blog istituzionale della Costa si celebrava un inchino (avvicinamento alla costa per salutare gli isolani) a Procida. Quella pagina è stata fatta sparire dal blog, ma è rimasta nella cache di Google e quindi visibile.
La tecnologia non perdona. E nemmeno i social network.
Sono molto affezionato al brand Costa: fin da piccolo sono stato circondato da penne, accendini e posacenere con la C gialla; tutti gadget che mio padre mi portava dalle navi quando tornava dal lavoro. Per questo non è facile per me fare una considerazione come questa, ma temo che difficilmente questo storico marchio riuscirà a sopravvivere all’enorme danno d’immagine di questi giorni.
Oltre che finire sugli scogli, la compagnia si è infranta contro un fenomeno che è di grande attualità in comunicazione: la trasparenza, cioè il bisogno di dire la verità. Oggi, nessuna azienda e nessun professionista di comunicazione, può permettersi il lusso di negarla o nasconderla se non vuole incorrere in disastri, oltre che umani, di immagine.
La verità è la sfida più impegnativa che dovrà affrontare l’uomo di comunicazione del futuro. E non solo lui: anche l’uomo di marketing e quello d’azienda dovranno farci i conti. Sarà una sfida molto impegnativa, ma stimolante, ed è probabile che renderà il nostro lavoro migliore.