Di serial sui pubblicitari e sulla pubblicità ne sono stati prodotti tanti. Quasi tutti sono stati dei flop. Si salva solo Mad Men, il cui successo però è dovuto più all’ambientazione anni’50 che alla trama. Trust Me non si è salvato: difficile che producano la seconda serie. Eppure è il telefilm sul nostro ambiente che finora più si è avvicinato alla realtà. Ricalca le nostre nevrosi, le nostre ambizioni, le nostre frustrazioni. Non vende il mondo tutto oro dell’adv anni’80, ma quello competitivo e stressante di oggi.
Trust Me non è una serie geniale, ma altamente godibile da chi lavora in pubblicità. Forse, e qui sta il suo grosso limite, solo da chi lavora in pubblicità.
Una serie come TrustMe l’avrei voluta scrivere io. Stavo anche lavorando alla puntata zero (per darla chi poi non si sa).
Il suo stop è probabilmente dovuto al limiti che evidenzi tu. È un limite che mi ponevo anche io (sempre facendo finta che a qualcuno potesse interessare).
Ci sono volte in cui pensi che sia facile far capire agli altri il nostro strano lavoro ma poi sbatti il grugno e capisci che non è così perché le persone ti immaginano mentre palpi il culo alle modelle e loro ci stanno. Mi è successo qualcosa di simile quando ho consigliato ad un amico il libro “L’uomo di marketing e la variante al limone”. Libro che trovo a dir poco geniale, almeno per chi lavora in agenzia. Il mio amico, mi spiace per lui, lavora nel settore marketing di una grossa multinazionale, ma niente. Si vede che non io vedo solo l’altro lato della medaglia del marketing armata brancaleone italian style.
Però, ci sono sempre i però, conosco due casi in cui questo limite è stato in qualche modo superato.
Uno editoriale e uno televisivo. Il primo è Lire 24900. Ok lo so, non è una storia del tutto vera e che è stato pompato come si deve dall’ufficio stampa della casa editrice. Ci hanno anche messo un po’ di coca (mi pare), soldi e un po’ di sesso ed è andato bene. Il tutto frullato insieme a dovere con un po’ di ghiaccio. Ma possibile che basti questo?
Il secondo è Boris. Le prime due stagioni sono andate alla grande, la terza un po’ meno ma sempre bene. In teoria dovrebbe piacere ai soli addetti ai lavori. Infatti in questo caso non so cosa dire, tranne che le fiction i tele(tossico)dipendenti almeno le guardano. E quindi sanno di cosa si parla o almeno credono di saperlo.
Chicco
ps:ok la smetto di pensare e torno al mio lavoro di cazzeggio da cazzone venditore di aria fritta impaginata dal mio art. Già che ci sono tocco il culo ad una modella a caso.
I primi in Italia a provarci furono Zuzzurro&Gaspare con una serie sui pubblicitari (flop), gli ultimi un branco di disperati che pensavano di utilizzare i webisodes anche come contenuto promozionale (feisbuk).
A parte la qualità della scrittura penso che sia vero quello che dici tu: alla gente normale interessa solo quello che gira intorno al nostro ambiente (figa, soldi, coca, successo). Forse sarebbe meglio dire girava. Un telefilm troppo vicino alla realtà, annoia.
Ho letto la il libro di Fontana, è divertentissimo, ma come dici tu ha avuto successo solo all’interno del nostro ambiente. 24900 se non ricordo male inizia con lui che strafatto di coca manda a cagare un cliente. Un altro registro insomma.
Ora però ti saluto che devo andare a molestare una stagista.
Il mio primo ricordo risale ad una serie anni 80. Bosom Buddies (in Italia non ricordo come venne trasmessa) in cui un giovanissimo Tom Hanks lavorava in un’agenzia. Sotto pagato e bistrattato. Costretto a travestirsi da donna per affittare una camera a buon mercato (camera ammobiliata e non una casa a Manhattan) in un residence per sole donne. O qualcosa di simile.
In agenzia c’era anche una persona addetta ad ottimizzare le spese. Un’arpia che tra i suoi compiti aveva quello di controllare che i dipendenti usassero le matite fino alla fine. Insomma, una situazione dove non c’erano belli, fighi, pieni di donne e di soldi.
Anche quello fu un bel flop già un USA, figuriamoci da noi.
Possibile che il classico e squallido “Mettiamo un bella gnocca, funziona sempre” sia la cosa che premia di più?
Chicco
Mi sa che devo smetterla di farmi di telefilm, meglio passare al Brunello di montalcino.
Semplice: fatti una domanda: a te la gnocca piace?
La gnocca è universale: piace a tutti.
Quando facevo il freelance ho lavorato per un’agenzia che in quegli anni aveva grande successo (Show Up): sapevi che se negli spot non ci mettevi la gnocca il titolare non li considerava nemmeno.
Grazie a lui ho fatto il film con più gnocca sul sel set 😉
Ma và. L’unica persona che ancora crede che la pubblicità straripi di modelle, droga e soldi è mia madre. Che ancora mi chiede se non preferirei fare un lavoro più nobile, tipo la mantenuta.
Il vero problema è che facciamo i copy e il copy è sempre stato quello più sfigato della coppia creativa.
L’art vede le modelle/modelli, noi vediamo gli speaker (e c’è una bella differenza).
L’art può lavorare con la musica a palla, noi a volte abbiamo bisogno anche di concentrarci.
L’art può sparare un sacco di cazzate che tanto è “creativo”, noi dobbiamo dire anche cose intelligenti.
L’art si può spaccare il cervello con sostanze psicotrope, il copy… anche… visto il nostro attuale livello naionale.
La gnocca è rilevante per (almeno) metà degli esseri umani.
A noi il compito di renderla pertinente. Sia rispetto alla marca, sia rispetto all’eventuale benefit.
Altrimenti la gnocca si “succhia” il prodotto e la marca, li vampirizza insomma.
Nel 90% delle campagne si ricorda infatti solo la gnocca, perché nell’annuncio non c’enrava un cazzo.
Conclusione: In pubblicità la gnocca è spesso un boomerang. Come nella vita vera. 🙂
Di serial sui pubblicitari e sulla pubblicità ne sono stati prodotti tanti. Quasi tutti sono stati dei flop. Si salva solo Mad Men, il cui successo però è dovuto più all’ambientazione anni’50 che alla trama. Trust Me non si è salvato: difficile che producano la seconda serie. Eppure è il telefilm sul nostro ambiente che finora più si è avvicinato alla realtà. Ricalca le nostre nevrosi, le nostre ambizioni, le nostre frustrazioni. Non vende il mondo tutto oro dell’adv anni’80, ma quello competitivo e stressante di oggi.
Trust Me non è una serie geniale, ma altamente godibile da chi lavora in pubblicità. Forse, e qui sta il suo grosso limite, solo da chi lavora in pubblicità.
Comments (13)
Una serie come TrustMe l’avrei voluta scrivere io. Stavo anche lavorando alla puntata zero (per darla chi poi non si sa).
Il suo stop è probabilmente dovuto al limiti che evidenzi tu. È un limite che mi ponevo anche io (sempre facendo finta che a qualcuno potesse interessare).
Ci sono volte in cui pensi che sia facile far capire agli altri il nostro strano lavoro ma poi sbatti il grugno e capisci che non è così perché le persone ti immaginano mentre palpi il culo alle modelle e loro ci stanno. Mi è successo qualcosa di simile quando ho consigliato ad un amico il libro “L’uomo di marketing e la variante al limone”. Libro che trovo a dir poco geniale, almeno per chi lavora in agenzia. Il mio amico, mi spiace per lui, lavora nel settore marketing di una grossa multinazionale, ma niente. Si vede che non io vedo solo l’altro lato della medaglia del marketing armata brancaleone italian style.
Però, ci sono sempre i però, conosco due casi in cui questo limite è stato in qualche modo superato.
Uno editoriale e uno televisivo. Il primo è Lire 24900. Ok lo so, non è una storia del tutto vera e che è stato pompato come si deve dall’ufficio stampa della casa editrice. Ci hanno anche messo un po’ di coca (mi pare), soldi e un po’ di sesso ed è andato bene. Il tutto frullato insieme a dovere con un po’ di ghiaccio. Ma possibile che basti questo?
Il secondo è Boris. Le prime due stagioni sono andate alla grande, la terza un po’ meno ma sempre bene. In teoria dovrebbe piacere ai soli addetti ai lavori. Infatti in questo caso non so cosa dire, tranne che le fiction i tele(tossico)dipendenti almeno le guardano. E quindi sanno di cosa si parla o almeno credono di saperlo.
Chicco
ps:ok la smetto di pensare e torno al mio lavoro di cazzeggio da cazzone venditore di aria fritta impaginata dal mio art. Già che ci sono tocco il culo ad una modella a caso.
I primi in Italia a provarci furono Zuzzurro&Gaspare con una serie sui pubblicitari (flop), gli ultimi un branco di disperati che pensavano di utilizzare i webisodes anche come contenuto promozionale (feisbuk).
A parte la qualità della scrittura penso che sia vero quello che dici tu: alla gente normale interessa solo quello che gira intorno al nostro ambiente (figa, soldi, coca, successo). Forse sarebbe meglio dire girava. Un telefilm troppo vicino alla realtà, annoia.
Ho letto la il libro di Fontana, è divertentissimo, ma come dici tu ha avuto successo solo all’interno del nostro ambiente. 24900 se non ricordo male inizia con lui che strafatto di coca manda a cagare un cliente. Un altro registro insomma.
Ora però ti saluto che devo andare a molestare una stagista.
m.
Il mio primo ricordo risale ad una serie anni 80. Bosom Buddies (in Italia non ricordo come venne trasmessa) in cui un giovanissimo Tom Hanks lavorava in un’agenzia. Sotto pagato e bistrattato. Costretto a travestirsi da donna per affittare una camera a buon mercato (camera ammobiliata e non una casa a Manhattan) in un residence per sole donne. O qualcosa di simile.
In agenzia c’era anche una persona addetta ad ottimizzare le spese. Un’arpia che tra i suoi compiti aveva quello di controllare che i dipendenti usassero le matite fino alla fine. Insomma, una situazione dove non c’erano belli, fighi, pieni di donne e di soldi.
Anche quello fu un bel flop già un USA, figuriamoci da noi.
Possibile che il classico e squallido “Mettiamo un bella gnocca, funziona sempre” sia la cosa che premia di più?
Chicco
Mi sa che devo smetterla di farmi di telefilm, meglio passare al Brunello di montalcino.
Semplice: fatti una domanda: a te la gnocca piace?
La gnocca è universale: piace a tutti.
Quando facevo il freelance ho lavorato per un’agenzia che in quegli anni aveva grande successo (Show Up): sapevi che se negli spot non ci mettevi la gnocca il titolare non li considerava nemmeno.
Grazie a lui ho fatto il film con più gnocca sul sel set 😉
E che non lo so? tira di più un pel di fica che un carro.
Ma questo vale per il 50% della popolazione. E in BORIS di gnocca non c’è traccia.
Ora ti saluto anche io, devo scaricare un po’ di porno.
Ma và. L’unica persona che ancora crede che la pubblicità straripi di modelle, droga e soldi è mia madre. Che ancora mi chiede se non preferirei fare un lavoro più nobile, tipo la mantenuta.
Il vero problema è che facciamo i copy e il copy è sempre stato quello più sfigato della coppia creativa.
L’art vede le modelle/modelli, noi vediamo gli speaker (e c’è una bella differenza).
L’art può lavorare con la musica a palla, noi a volte abbiamo bisogno anche di concentrarci.
L’art può sparare un sacco di cazzate che tanto è “creativo”, noi dobbiamo dire anche cose intelligenti.
L’art si può spaccare il cervello con sostanze psicotrope, il copy… anche… visto il nostro attuale livello naionale.
La gnocca è rilevante per (almeno) metà degli esseri umani.
A noi il compito di renderla pertinente. Sia rispetto alla marca, sia rispetto all’eventuale benefit.
Altrimenti la gnocca si “succhia” il prodotto e la marca, li vampirizza insomma.
Nel 90% delle campagne si ricorda infatti solo la gnocca, perché nell’annuncio non c’enrava un cazzo.
Conclusione: In pubblicità la gnocca è spesso un boomerang. Come nella vita vera. 🙂
Bello il concetto della rilevanza/pertinena della gnocca.
Anche se va detto che se è sempre rilevante è anche sempre pertinente.
A me piace il concetto di gnocca boomerang. Mentre la gnocca che che “succhia” mi spaventa un po’.
Lavorando per il brief su GD ho trovato questa chicca. Campagna stampa per Poker Magazine.
Marco
Copycom 2010
Copywater.blogspot.com
Lavorando per il brief su GD ho trovato questa chicca. Campagna stampa per Poker Magazine.
http://copywater.blogspot.com/2010/04/become-king-of-bluff.html
Marco
Copycom 2010
Copywater.blogspot.com
sì, la conosco molto bene. E’ un’ottima campagna.