Da un po’ di tempo a questa parte sento ripetere questo refrain: l’advertising è morto. Certo, i sintomi non sono rassicuranti: è sempre più difficile vedere campagne eclatanti, e da noi, purtroppo, questo fenomeno è ancora più evidente. L’ADCI ha lanciato un grido d’allarme evidenziando che la qualità del prossimo annual sarà ben al di sotto della media, e chi ha ascoltato i finalisti del Radiofestival non può che esserne rimasto deluso: onestamente, nessuno è all’altezza dei vincitori delle prime edizioni. Ma non bisogna essere addetti ai lavori per accorgersi di un progressivo deterioramento della qualità creativa. Girando per Milano non si riesce a vedere neppure un’affissione, se non innovativa, almeno gradevole alla vista, e anche l’abbigliaggio dei tram, che una volta era un piccolo terreno fertile per la creatività, si è banalizzato a tal punto da risultare fastidioso. Passi per la pubblicità italiana, ormai decaduta a livello di terzo mondo, ma perfino all’estero le campagne cominciano a dare i primi segni di stanchezza. Un esempio di tale involuzione è quello di Absolute Vodka, a cui è dedicato il post di domani, ma non solo: a parte alcune punte entusiasmanti si ha quasi l’impressione di un generale scadimento (chi vuole farsene un’idea può monitorare di tanto in tanto adsoftheworld). Il media che sembra soffrire di più di questa crisi è senz’altro la stampa. Francesca, la nostra inviata alla Portfolio Night di Londra, mi ha confermato che in UK è un media che viene quasi snobbato: i super direttori creativi vogliono sentir parlare solo di comunicazione integrata, soprattutto dai giovani. Spero che il prossimo Festival di Cannes mi smentisca, e che riuscirò a scoprire capolavori che mi sono sfuggiti durante il faticoso lavoro di scouting in rete, ma ne dubito. Ormai anche le campagne più belle si affidano sempre all’estremo virtuosismo della sintesi visiva. Esercizio apprezzabile, tanto più che in Italia riusciamo ad applicarlo così poco, ma anch’esso piuttosto datato: le prime campagne senza titolo e foto a tutta pagina risalgono infatti a più di dieci anni fa. Noi ET, in questi giorni, stiamo preparando i layout per una campagna a cui teniamo molto (no, non è Chinò), e ho stimolato tutti, me compreso, ad andare oltre i soliti meccanismi. Ma ho scoperto che non è affatto facile. La cosa più trasgressiva di tutte sarebbe forse quella di tornare alle vecchie copy ad (bei titoli sparati e lunghissime bodycopy), ma non significherebbe regredire fino agli anni ‘70? Insomma, fare qualcosa di rivoluzionario in stampa è diventato una bella gatta da pelare, e sarebbe auspicabile che qualche genio illuminato ci indicasse la via. Dove invece risulta più spontaneo essere innovativi è sul non convenzionale. Il virale sta dando a tutti la possibilità di sperimentare, inoltre ambient e guerrilla si stanno trasformando per i creativi in piccole oasi protette. Così mi chiedo: sarà forse anche a causa di queste nuove forme di comunicazione che l’advertising classico sta soffrendo? E’ probabile che le menti creative più brillanti stiano emigrando lì in cerca di una nuova frontiera, di nuove possibilità e di nuove forme di linguaggio. Ma sono convinto che questi new media godranno di libertà creativa ancora per poco: i clienti, per forza di cose, fra non molto diventeranno più invasivi: sarà sufficiente che crescano i budget. E allora saremmo daccapo. Ci renderemo conto che sarà stato un errore aver mollato la tensione, la voglia di combattere e di innovare, nell’advertising. Come ci insegnano gli inglesi, forse l’unico futuro possibile è nella comunicazione integrata. Quella che i più trendy chiamano comunicazione olistica. Quella che in Italia, a essere sinceri, non si è ancora vista.
Da un po’ di tempo a questa parte sento ripetere questo refrain: l’advertising è morto. Certo, i sintomi non sono rassicuranti: è sempre più difficile vedere campagne eclatanti, e da noi, purtroppo, questo fenomeno è ancora più evidente. L’ADCI ha lanciato un grido d’allarme evidenziando che la qualità del prossimo annual sarà ben al di sotto della media, e chi ha ascoltato i finalisti del Radiofestival non può che esserne rimasto deluso: onestamente, nessuno è all’altezza dei vincitori delle prime edizioni. Ma non bisogna essere addetti ai lavori per accorgersi di un progressivo deterioramento della qualità creativa. Girando per Milano non si riesce a vedere neppure un’affissione, se non innovativa, almeno gradevole alla vista, e anche l’abbigliaggio dei tram, che una volta era un piccolo terreno fertile per la creatività, si è banalizzato a tal punto da risultare fastidioso. Passi per la pubblicità italiana, ormai decaduta a livello di terzo mondo, ma perfino all’estero le campagne cominciano a dare i primi segni di stanchezza. Un esempio di tale involuzione è quello di Absolute Vodka, a cui è dedicato il post di domani, ma non solo: a parte alcune punte entusiasmanti si ha quasi l’impressione di un generale scadimento (chi vuole farsene un’idea può monitorare di tanto in tanto adsoftheworld). Il media che sembra soffrire di più di questa crisi è senz’altro la stampa. Francesca, la nostra inviata alla Portfolio Night di Londra, mi ha confermato che in UK è un media che viene quasi snobbato: i super direttori creativi vogliono sentir parlare solo di comunicazione integrata, soprattutto dai giovani. Spero che il prossimo Festival di Cannes mi smentisca, e che riuscirò a scoprire capolavori che mi sono sfuggiti durante il faticoso lavoro di scouting in rete, ma ne dubito. Ormai anche le campagne più belle si affidano sempre all’estremo virtuosismo della sintesi visiva. Esercizio apprezzabile, tanto più che in Italia riusciamo ad applicarlo così poco, ma anch’esso piuttosto datato: le prime campagne senza titolo e foto a tutta pagina risalgono infatti a più di dieci anni fa. Noi ET, in questi giorni, stiamo preparando i layout per una campagna a cui teniamo molto (no, non è Chinò), e ho stimolato tutti, me compreso, ad andare oltre i soliti meccanismi. Ma ho scoperto che non è affatto facile. La cosa più trasgressiva di tutte sarebbe forse quella di tornare alle vecchie copy ad (bei titoli sparati e lunghissime bodycopy), ma non significherebbe regredire fino agli anni ‘70? Insomma, fare qualcosa di rivoluzionario in stampa è diventato una bella gatta da pelare, e sarebbe auspicabile che qualche genio illuminato ci indicasse la via. Dove invece risulta più spontaneo essere innovativi è sul non convenzionale. Il virale sta dando a tutti la possibilità di sperimentare, inoltre ambient e guerrilla si stanno trasformando per i creativi in piccole oasi protette. Così mi chiedo: sarà forse anche a causa di queste nuove forme di comunicazione che l’advertising classico sta soffrendo? E’ probabile che le menti creative più brillanti stiano emigrando lì in cerca di una nuova frontiera, di nuove possibilità e di nuove forme di linguaggio. Ma sono convinto che questi new media godranno di libertà creativa ancora per poco: i clienti, per forza di cose, fra non molto diventeranno più invasivi: sarà sufficiente che crescano i budget. E allora saremmo daccapo. Ci renderemo conto che sarà stato un errore aver mollato la tensione, la voglia di combattere e di innovare, nell’advertising. Come ci insegnano gli inglesi, forse l’unico futuro possibile è nella comunicazione integrata. Quella che i più trendy chiamano comunicazione olistica. Quella che in Italia, a essere sinceri, non si è ancora vista.
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