Poco importa che la sua decisione abbia poco a che fare con una visione avveniristica del futuro ma rappresenti piuttosto un’operazione di marketing per salvare il suo social network in sofferenza, basta quest’annuncio per gonfiare una bolla speculativa sull’internet del futuro.
Se uno degli uomini più ricchi e potenti del mondo, uno dei padroni del web attuale, afferma una cosa del genere perché non bisogna crederci? Se ha avuto ragione una volta perché non può averla anche questa volta?
E così tutti iniziano a parlare di Metaverso, di NFT e il valore delle criptovalute schizza alle stelle. Per anni abbiamo sentito parlare di web 3.0, di web 4.0 o addirittura di web 5.0, ma finalmente questa creatura futuribile che aspettiamo da tanto tempo sembra essere arrivata davvero!
Peccato che in realtà il WEB3 sia arrivato senza che nemmeno ce ne accorgessimo, e molto prima che Zuckerberg lo annunciasse al mondo. L’astuto Mark, come tutti i vecchi volponi del marketing, ha solo provato ad appropriarsi di The Next Thing, e cioè si è autoproclamato profeta di quella tecnologia che probabilmente ci accompagnerà negli anni a venire.
Ma la verità è che Zuckerberg con quella tecnologia non c’entra niente.
Il WEB3 nasce nel 2008 con il lancio di Bitcoin, quando la persona che si cela dietro lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto pubblica online il suo white paper. Dopodiché, per consentire il funzionamento di Bitcoin, diversi sviluppatori e crittografi hanno elaborato un modello open source che ha dato vita sulla rete a un sistema decentralizzato. In sintesi, la Blockchain.
Piccola digressione.
Il web arriva a metà degli anni ’90, con i modem analogici che si connettevano a internet scatarrando suoni gutturali e caricando pagine piene di link con la lentezza di una stampante ad aghi.
Per il web 2.0 bisogna aspettare l’avvento dei Blog e dei Social Networks. Perché, anche se è una cosa che ormai diamo per scontata, la rivoluzione del web 2.0 ha significato la fine della nostra passività come navigatori: il web 2.0 ci ha consentito di partecipare online creando le nostre pagine (Blog) e interagendo con gli altri (Social Networks).
E il WEB3?
La rivoluzione del WEB3 è appunto la Blockchain, cioè la gestione decentralizzata dei database, che in parole semplici significa che i nostri dati non si ritrovano tutti in un unico server, ma vengono distribuiti in tanti Registri Decentralizzati (Distribuited Ledger), indipendenti gli uni dagli altri, che si controllano a vicenda. E cioè la Blockchain rappresenta l’utopia della scomparsa di un potere centrale e la nascita di una rete ugualitaria. E se la definisco utopia è perché è una cosa che non si è ancora realizzata ma ad oggi è stata inventata la tecnologia che lo consentirebbe.
Ora, se dopo queste digressioni tecniche non siete stati ancora colpiti da un’epistassi, provo a spiegare meglio cosa significa Blockchain e sistema decentralizzato.
Piccolo esempio.
Le Banche Centrali decidono quando emettere gli Euro o i Dollari a loro discrezione. Prima del 15 agosto 1971, ad esempio, il Dollaro era ancorato all’Oro, e cioè ci potevano essere in giro tanti Dollari quanto Oro era depositato come controvalore a Fort Knox. Ma nel ferragosto di cinquantuno anni fa, Richard Nixon ruppe il rapporto di cambio fisso tra il Dollaro e l’Oro creando il sistema di valute FIAT e aprendo così la strada alla globalizzazione e al commercio internazionale.
Da allora le Banche centrali hanno un potere discrezionale sulle valute che emettono.
Il protocollo Bitcoin non funziona allo stesso modo, anzi nasce proprio come risposta all’imperfezione del sistema di valuteFIAT che è stata una delle cause principali della grande crisi finanziaria del 2008.
Nel sistema Bitcoin non c’è un potere centrale che può decidere quando emettere valuta, tutto viene gestito da un algoritmo e ogni singola transazione viene registrata su tutti i Nodi (server) della rete che insieme formano appunto la Blockchain.
Che ogni singola operazione venga registrata da tutti, crea altri problemi tecnici che è complesso trattare in questo post, ma la cosa importante da capire è che la struttura tecnologica di Bitcoin permette la distribuzione delle informazioni in maniera equipollente.
La Blockchain, una tecnologia nata per Bitcoin, ha poi reso possibile tutta un’altra serie di innovazioni come ad esempio gli Smart Contracts, i Tokens e i Non-Fungible Tokens che, a loro volta, hanno dato inizio a fenomeni quali NFT’s, Exchange Decentralizzati e Criptovalute di tutti i tipi.
La Blockchain è una tecnologia incredibilmente affascinante ma complessa: sono molte le cose da imparare e che cambiano ogni giorno, tanto che per starle dietro bisogna avere l’umiltà di un bambino di prima elementare.
In tutto questo il Metaverso è l’applicazione più luccicante ma anche quella meno innovativa del WEB3. La prima versione del Metaverso è stata lanciata nel 2003 e si chiamava Second Life, e anche se oggi è ancora attiva non è mai stata vicina a definirsi un successo incontenibile.
Eppure è stato sufficiente che Zuckerberg parlasse di Metaverso perché diventasse il trend digitale del momento, quello che ha scatenato la grande FOMO (Fear of Missing Out) di quest’ultimo anno.
Ma quando farete l’esperienza di girare una ventina di minuti in un Metaverso a caso (adesso il più cool sembra essere Decentraland) capirete che gli attuali utilizzatori di Facebook, boomer per la maggior parte, è più probabile che vadano a godersi la pensione in Portogallo piuttosto che in una Realtà Virtuale qualsiasi.
Il Metaverso funzionerà, ok, ma non per tutti, avrà terreno fertile solo in nicchie ben definite: la categoria dei Gamers ad esempio. E infatti il Metaverso più promettente al momento resta Fortnite, che dal suo lancio (2018) è passato dai 125 milioni di giocatori fino ai 350 milioni di fine 2021.
In una società veloce come la nostra cinque anni, o addirittura dieci, rappresentano un lasso di tempo infinito. E fino ad allora faremo in tempo ad assistere a mille altri trend e altre mille bolle di marketing.
E chi se ne frega, direte voi.
Il problema è che tutta questa FOMO, e cioè questa ansia da early adopters generata dalle parole di Zuckerberg, ha messo pressione a una tecnologia che stava crescendo solida e promettente ma con i suoi tempi.
È un po’ come se in un’isola sperduta in cui viaggiatori curiosi e illuminati stavano sperimentando un nuovo modello di società fosse scoppiata all’improvviso il turismo di massa: voli charter strapieni che arrivano da ogni parte del mondo, cartacce buttate dappertutto, campi di padel costruiti sopra barriere coralline. E soprattutto gente senza scrupoli arrivata per cercare l’oro di Zuckerberg.
Quello che voglio dire è che il WEB3 sta attualmente pagando l’enorme speculazione fatta nei suoi confronti, che ha portato a spendere centinaia di migliaia di dollari in NFT per una scimmia che è stata moltiplicata in 9.999 esemplari (un singolo NFT della collezione Bored Ape Yacht Cluboggi è quotato circa 99 Ether, che al cambio attuale corrispondono a circa 191.732 Euro), e che ha dato vita a criptovalute ispirate a meme di cani Shiba (Dogecoin) o altre come LUNAche hanno perso il 95% del loro valore in un giorno.
Insomma, negli ultimi mesi tutte le applicazioni del WEB3 sono in crisi, tutte tranne il Metaverso. Eppure c’è da credere che quella che sta attraversando il WEB3 è solo una crisi di crescita, ma questa tecnologia ha comunque la solidità sufficiente per uscirne in maniera brillante.
Oggi il suo problema principale, a mio parere, è la User Experience, perché anche la cosa più semplice da fare sul WEB3 è dannatamente complicata e richiede una buona conoscenza della piattaforma e degli strumenti.
Un esempio: la scorsa settimana ho comprato un NFT.
No, non una Bored Ape, ma un NFT di REY, un artista messicano che seguivo da un po’ e che ha lanciato una sua collezione chiamata CREYZIES.
Detto così è semplice, ma se non avessi avuto nessuna esperienza di WEB3 avrei dovuto aprire un conto in un Marketplace specializzato (i più importanti sono Coinbase e Binance) e sottostare alla procedura KYC (Know Your Client) che significa fornire tutta una serie di informazioni fiscali e bancarie, dopodiché bonificare un importo dalla mia banca e trasformarlo in ETH, cioè Ether (Coin della Blockchain Ethereum).
Una volta ottenuti gli Ether, avrei dovuto scaricare un Software Wallet (tipo Metamask), scrivermi da qualche parte le chiavi private e poi, grazie alla chiave pubblica, trasferire nel Software Wallet gli Ether che avevo comprato sul Marketplace.
Infine sarei dovuto andare su un Marketplace di NFT (il più importante è Opensea) e trovarne uno che mi piacesse. Ma prima avrei dovuto controllare che quell’NFT fosse originale, che supportasse la Blockchain del mio Software Wallet, che fosse in vendita nella criptovaluta che avevo a disposizione (ETH) e che, oltre alla disponibilità per l’acquisto, io avessi abbastanza Ether da pagare le Gas Fee.
Tutto questo per comprare un c***o di jpg legato a uno Smart Contract su una Blockchain.
Capite bene che anche per una cosa semplice come comprare o vendere un’immagine sul WEB3 ci vuole una buona dose di esperienza e pazienza. Figuratevi per fare cose più complesse.
E quindi al momento il WEB3 non può essere maistream ed è ancora ben lontano da raggiungere quella massa critica necessaria per renderlo sicuro e stabile. Diciamo che oggi siamo più o meno al livello di difficoltà di quando tanti anni fa nel Web 2.0 per aprire un blog personale un poveretto doveva conoscere anche un po’ linguaggio HTML.
Di conseguenza il WEB3 non farà il salto definitivo finché non sarà facilitata l’UX, nel senso più alto del termine, e cioè l’Esperienza Utente. Ma sono certo che è un salto che prima o poi riuscirà a fare, perché la tecnologia è innovativa e le applicazioni sono affascinanti e rivoluzionarie.
Mentre la crisi attuale è passeggera, forse addirittura salutare: permetterà di fare pulizia di molti di quegli avidi personaggi che dopo l’annuncio di Zuckerberg si sono lanciati nella folle Gold Rush degli ultimi mesi, gli stessi che probabilmente hanno perso un sacco di soldi investendo in criptovalute farlocche e speculando senza senso nel mondo degli NFT.
A ben vedere la crisi attuale è simile a quella di internet dopo la bolla speculativa del 2000/2001. In seguito a quella crisi, e ai fallimenti di Start Up digitali che dovevano spaccare il mondo, internet non è sparito, ma ha solo preso una nuova forma, che poi non è altro che quella attuale.
Da sempre quando si parla del web si usa la metafora dei navigatori, perché passando da un link all’altro ci si può perdere nel nulla oppure si possono scoprire luoghi sconosciuti e fantastici. Ma i navigatori, quelli veri, hanno sempre rispetto del Mare: non si avventurano senza conoscerlo bene.
Allo stesso modo il WEB3 ha bisogno di essere conosciuto prima di essere navigato. È il motivo per cui sono anni che lo studio, e più cose imparo più cresce in me la voglia di impararne di nuove. E così, sfruttando un altruismo che non mi appartiene, ho deciso di continuare la mia opera divulgativa e sacrificare un altro po’ del mio tempo per lanciare una seconda newsletter (dopo la mizionewsletter).
Una pubblicazione mensile in cui condividere quello che ho imparato ma soprattutto quello imparerò nei prossimi mesi. Si tratta di una lettura volutamente semplice, perché è dedicata a tutti coloro che sono digiuni del WEB3, oppure ne sanno poco, ma non hanno paura né del futuro né del cambiamento.
Questa newsletter si chiama Web3lovers e, se condividete con me la passione per tutto quello che verrà, potete iscrivervi > QUI <
Nell’ottobre del 2021 Mark Zuckerberg annuncia al mondo che Facebook cambia nome in Meta, per aprirsi a un futuro che passerà dai Social Networks, per come li conosciamo oggi, al Metaverso.
Poco importa che la sua decisione abbia poco a che fare con una visione avveniristica del futuro ma rappresenti piuttosto un’operazione di marketing per salvare il suo social network in sofferenza, basta quest’annuncio per gonfiare una bolla speculativa sull’internet del futuro.
Se uno degli uomini più ricchi e potenti del mondo, uno dei padroni del web attuale, afferma una cosa del genere perché non bisogna crederci? Se ha avuto ragione una volta perché non può averla anche questa volta?
E così tutti iniziano a parlare di Metaverso, di NFT e il valore delle criptovalute schizza alle stelle. Per anni abbiamo sentito parlare di web 3.0, di web 4.0 o addirittura di web 5.0, ma finalmente questa creatura futuribile che aspettiamo da tanto tempo sembra essere arrivata davvero!
Peccato che in realtà il WEB3 sia arrivato senza che nemmeno ce ne accorgessimo, e molto prima che Zuckerberg lo annunciasse al mondo. L’astuto Mark, come tutti i vecchi volponi del marketing, ha solo provato ad appropriarsi di The Next Thing, e cioè si è autoproclamato profeta di quella tecnologia che probabilmente ci accompagnerà negli anni a venire.
Ma la verità è che Zuckerberg con quella tecnologia non c’entra niente.
Il WEB3 nasce nel 2008 con il lancio di Bitcoin, quando la persona che si cela dietro lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto pubblica online il suo white paper. Dopodiché, per consentire il funzionamento di Bitcoin, diversi sviluppatori e crittografi hanno elaborato un modello open source che ha dato vita sulla rete a un sistema decentralizzato. In sintesi, la Blockchain.
Piccola digressione.
Il web arriva a metà degli anni ’90, con i modem analogici che si connettevano a internet scatarrando suoni gutturali e caricando pagine piene di link con la lentezza di una stampante ad aghi.
Per il web 2.0 bisogna aspettare l’avvento dei Blog e dei Social Networks. Perché, anche se è una cosa che ormai diamo per scontata, la rivoluzione del web 2.0 ha significato la fine della nostra passività come navigatori: il web 2.0 ci ha consentito di partecipare online creando le nostre pagine (Blog) e interagendo con gli altri (Social Networks).
E il WEB3?
La rivoluzione del WEB3 è appunto la Blockchain, cioè la gestione decentralizzata dei database, che in parole semplici significa che i nostri dati non si ritrovano tutti in un unico server, ma vengono distribuiti in tanti Registri Decentralizzati (Distribuited Ledger), indipendenti gli uni dagli altri, che si controllano a vicenda. E cioè la Blockchain rappresenta l’utopia della scomparsa di un potere centrale e la nascita di una rete ugualitaria. E se la definisco utopia è perché è una cosa che non si è ancora realizzata ma ad oggi è stata inventata la tecnologia che lo consentirebbe.
Ora, se dopo queste digressioni tecniche non siete stati ancora colpiti da un’epistassi, provo a spiegare meglio cosa significa Blockchain e sistema decentralizzato.
Piccolo esempio.
Le Banche Centrali decidono quando emettere gli Euro o i Dollari a loro discrezione. Prima del 15 agosto 1971, ad esempio, il Dollaro era ancorato all’Oro, e cioè ci potevano essere in giro tanti Dollari quanto Oro era depositato come controvalore a Fort Knox. Ma nel ferragosto di cinquantuno anni fa, Richard Nixon ruppe il rapporto di cambio fisso tra il Dollaro e l’Oro creando il sistema di valute FIAT e aprendo così la strada alla globalizzazione e al commercio internazionale.
Da allora le Banche centrali hanno un potere discrezionale sulle valute che emettono.
Il protocollo Bitcoin non funziona allo stesso modo, anzi nasce proprio come risposta all’imperfezione del sistema di valute FIAT che è stata una delle cause principali della grande crisi finanziaria del 2008.
Nel sistema Bitcoin non c’è un potere centrale che può decidere quando emettere valuta, tutto viene gestito da un algoritmo e ogni singola transazione viene registrata su tutti i Nodi (server) della rete che insieme formano appunto la Blockchain.
Che ogni singola operazione venga registrata da tutti, crea altri problemi tecnici che è complesso trattare in questo post, ma la cosa importante da capire è che la struttura tecnologica di Bitcoin permette la distribuzione delle informazioni in maniera equipollente.
La Blockchain, una tecnologia nata per Bitcoin, ha poi reso possibile tutta un’altra serie di innovazioni come ad esempio gli Smart Contracts, i Tokens e i Non-Fungible Tokens che, a loro volta, hanno dato inizio a fenomeni quali NFT’s, Exchange Decentralizzati e Criptovalute di tutti i tipi.
La Blockchain è una tecnologia incredibilmente affascinante ma complessa: sono molte le cose da imparare e che cambiano ogni giorno, tanto che per starle dietro bisogna avere l’umiltà di un bambino di prima elementare.
In tutto questo il Metaverso è l’applicazione più luccicante ma anche quella meno innovativa del WEB3. La prima versione del Metaverso è stata lanciata nel 2003 e si chiamava Second Life, e anche se oggi è ancora attiva non è mai stata vicina a definirsi un successo incontenibile.
Eppure è stato sufficiente che Zuckerberg parlasse di Metaverso perché diventasse il trend digitale del momento, quello che ha scatenato la grande FOMO (Fear of Missing Out) di quest’ultimo anno.
Ma quando farete l’esperienza di girare una ventina di minuti in un Metaverso a caso (adesso il più cool sembra essere Decentraland) capirete che gli attuali utilizzatori di Facebook, boomer per la maggior parte, è più probabile che vadano a godersi la pensione in Portogallo piuttosto che in una Realtà Virtuale qualsiasi.
Il Metaverso funzionerà, ok, ma non per tutti, avrà terreno fertile solo in nicchie ben definite: la categoria dei Gamers ad esempio. E infatti il Metaverso più promettente al momento resta Fortnite, che dal suo lancio (2018) è passato dai 125 milioni di giocatori fino ai 350 milioni di fine 2021.
Che i Metaversi siano lontani dall’arrivare al mainstream, lo pensa anche Ruth Bram, Executive Producer di Meta (e cioè Facebook) che ha dichiarato che per arrivare all’obiettivo di Zuckerberg ci vogliono ancora cinque o dieci anni di sviluppo hardware e software.
Cinque o dieci anni.
In una società veloce come la nostra cinque anni, o addirittura dieci, rappresentano un lasso di tempo infinito. E fino ad allora faremo in tempo ad assistere a mille altri trend e altre mille bolle di marketing.
E chi se ne frega, direte voi.
Il problema è che tutta questa FOMO, e cioè questa ansia da early adopters generata dalle parole di Zuckerberg, ha messo pressione a una tecnologia che stava crescendo solida e promettente ma con i suoi tempi.
È un po’ come se in un’isola sperduta in cui viaggiatori curiosi e illuminati stavano sperimentando un nuovo modello di società fosse scoppiata all’improvviso il turismo di massa: voli charter strapieni che arrivano da ogni parte del mondo, cartacce buttate dappertutto, campi di padel costruiti sopra barriere coralline. E soprattutto gente senza scrupoli arrivata per cercare l’oro di Zuckerberg.
Quello che voglio dire è che il WEB3 sta attualmente pagando l’enorme speculazione fatta nei suoi confronti, che ha portato a spendere centinaia di migliaia di dollari in NFT per una scimmia che è stata moltiplicata in 9.999 esemplari (un singolo NFT della collezione Bored Ape Yacht Club oggi è quotato circa 99 Ether, che al cambio attuale corrispondono a circa 191.732 Euro), e che ha dato vita a criptovalute ispirate a meme di cani Shiba (Dogecoin) o altre come LUNA che hanno perso il 95% del loro valore in un giorno.
In queste ultime settimane molti hanno sentenziato la fine del WEB3: dopo il picco dello scorso settembre quando sono stati venduti 225.000 NFT’s in un solo giorno, oggi il volume d’affari è calato del 92% (fonte WSJ); lo stesso discorso vale per le criptovalute, perché se solo prendiamo le due più importanti, e cioè Bitcoin ed Ethereum, da novembre a oggi hanno perso metà del loro valore.
Insomma, negli ultimi mesi tutte le applicazioni del WEB3 sono in crisi, tutte tranne il Metaverso. Eppure c’è da credere che quella che sta attraversando il WEB3 è solo una crisi di crescita, ma questa tecnologia ha comunque la solidità sufficiente per uscirne in maniera brillante.
Oggi il suo problema principale, a mio parere, è la User Experience, perché anche la cosa più semplice da fare sul WEB3 è dannatamente complicata e richiede una buona conoscenza della piattaforma e degli strumenti.
Un esempio: la scorsa settimana ho comprato un NFT.
No, non una Bored Ape, ma un NFT di REY, un artista messicano che seguivo da un po’ e che ha lanciato una sua collezione chiamata CREYZIES.
Detto così è semplice, ma se non avessi avuto nessuna esperienza di WEB3 avrei dovuto aprire un conto in un Marketplace specializzato (i più importanti sono Coinbase e Binance) e sottostare alla procedura KYC (Know Your Client) che significa fornire tutta una serie di informazioni fiscali e bancarie, dopodiché bonificare un importo dalla mia banca e trasformarlo in ETH, cioè Ether (Coin della Blockchain Ethereum).
Una volta ottenuti gli Ether, avrei dovuto scaricare un Software Wallet (tipo Metamask), scrivermi da qualche parte le chiavi private e poi, grazie alla chiave pubblica, trasferire nel Software Wallet gli Ether che avevo comprato sul Marketplace.
Infine sarei dovuto andare su un Marketplace di NFT (il più importante è Opensea) e trovarne uno che mi piacesse. Ma prima avrei dovuto controllare che quell’NFT fosse originale, che supportasse la Blockchain del mio Software Wallet, che fosse in vendita nella criptovaluta che avevo a disposizione (ETH) e che, oltre alla disponibilità per l’acquisto, io avessi abbastanza Ether da pagare le Gas Fee.
Tutto questo per comprare un c***o di jpg legato a uno Smart Contract su una Blockchain.
Capite bene che anche per una cosa semplice come comprare o vendere un’immagine sul WEB3 ci vuole una buona dose di esperienza e pazienza. Figuratevi per fare cose più complesse.
E quindi al momento il WEB3 non può essere maistream ed è ancora ben lontano da raggiungere quella massa critica necessaria per renderlo sicuro e stabile. Diciamo che oggi siamo più o meno al livello di difficoltà di quando tanti anni fa nel Web 2.0 per aprire un blog personale un poveretto doveva conoscere anche un po’ linguaggio HTML.
Di conseguenza il WEB3 non farà il salto definitivo finché non sarà facilitata l’UX, nel senso più alto del termine, e cioè l’Esperienza Utente. Ma sono certo che è un salto che prima o poi riuscirà a fare, perché la tecnologia è innovativa e le applicazioni sono affascinanti e rivoluzionarie.
Mentre la crisi attuale è passeggera, forse addirittura salutare: permetterà di fare pulizia di molti di quegli avidi personaggi che dopo l’annuncio di Zuckerberg si sono lanciati nella folle Gold Rush degli ultimi mesi, gli stessi che probabilmente hanno perso un sacco di soldi investendo in criptovalute farlocche e speculando senza senso nel mondo degli NFT.
A ben vedere la crisi attuale è simile a quella di internet dopo la bolla speculativa del 2000/2001. In seguito a quella crisi, e ai fallimenti di Start Up digitali che dovevano spaccare il mondo, internet non è sparito, ma ha solo preso una nuova forma, che poi non è altro che quella attuale.
Da sempre quando si parla del web si usa la metafora dei navigatori, perché passando da un link all’altro ci si può perdere nel nulla oppure si possono scoprire luoghi sconosciuti e fantastici. Ma i navigatori, quelli veri, hanno sempre rispetto del Mare: non si avventurano senza conoscerlo bene.
Allo stesso modo il WEB3 ha bisogno di essere conosciuto prima di essere navigato. È il motivo per cui sono anni che lo studio, e più cose imparo più cresce in me la voglia di impararne di nuove. E così, sfruttando un altruismo che non mi appartiene, ho deciso di continuare la mia opera divulgativa e sacrificare un altro po’ del mio tempo per lanciare una seconda newsletter (dopo la mizionewsletter).
Una pubblicazione mensile in cui condividere quello che ho imparato ma soprattutto quello imparerò nei prossimi mesi. Si tratta di una lettura volutamente semplice, perché è dedicata a tutti coloro che sono digiuni del WEB3, oppure ne sanno poco, ma non hanno paura né del futuro né del cambiamento.
Questa newsletter si chiama Web3lovers e, se condividete con me la passione per tutto quello che verrà, potete iscrivervi > QUI <
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