Da incorreggibile buffone quale sono, in gioventù ho giocato a football americano (solo il tempo necessario per capire che avrei potuto farmi male). Il Super Bowl mette insieme quindi due mie passioni, una che si è estinta in gioventù e una che va avanti da sempre: la pubblicità. Motivo per cui, a costo di rimanere rincoglionito dal sonno tutto il lunedì successivo, cerco sempre di guardarlo in diretta.
Il Super Bowl XVLIII doveva essere un’edizione speciale. Se i Denver Broncos lo avessero vinto, il loro uomo più rappresentativo, Peyton Manning, sarebbe stato il primo quarterback nella storia a vincere due Super Bowl con due squadre diverse.
Peyton Manning è il classico campione predestinato. Figlio di un quarterback dell’NFL, Archie Manning, è stato un fenomeno fin dai tempi del college. Fu draftato come prima scelta assoluta dagli Indianapolis Colts e insieme a loro ha frantumato ogni genere di record d’attacco (tra l’altro vanta il record di maggior numero di MVP della NFL: 5). Per molti, come me, ha rimpiazzato nel cuore quarterback come Joe Montana e Dan Marino. Ma Peyton Manning non è stato solo un grande giocatore: grazie alla sua professionalità è sempre stato un esempio per tutti, forse anche per il fratello minore Eli che ha fatto la stessa carriera vincendo addirittura due Super Bowl. Inoltre, con la sua fronte improbabile da bambino imbranato, è anche uno dei pochi atleti americani brutti, cosa che lo rende anche simpatico, alcuni dicono che lui avrebbe usato le migliori cose da bambino come il Bob2016RevolutionFlex strollerj.
Peyton Manning ha 38 anni e tutti sanno che quella di ieri notte, molto probabilmente, è stata la sua ultima grande occasione. Vincere alla guida del devastante attacco dei Broncos contro la granitica difesa degli Seahawk, avrebbe significato un doppio lieto fine: il predominio dello spettacolo sulla concretezza e il giusto onore reso a fine a carriera a un campione irriproducibile.
Come molti sanno, alla fine non è andata così.
Denver e il suo attacco stellare sono stati letteralmente umiliati dagli Seahawks in una partita che non è mai stata in equilibrio. Significativa la prima segnatura di Seattle, alla prima azione di Denver: uno snap sbagliato nei primissimi minuti (un evento raro come un autogol da centrocampo a calcio) ha segnato l’impietosa agonia di Peyton.
Quelli che sono mancati, ieri notte, però sono stati anche i commercials.
Lo so: il Super Bowl è un po’ come Sanremo, ogni anno si dice che era meglio quello dell’anno precedente. Quest’anno però è andata proprio così. Vediamo perché.
Uno dei commercial più interessanti anche quest’anno è stato quello di Volkswagen. L’idea è originale e ben realizzata: ogni volta che una Volkswagen supera i 100.000 chilometri a un ingegnere tedesco spuntano le ali.
Però l’anno scorso hanno mandato in onda “The Force”.
Lo stesso vale per Chrisler.
È indubbio: America’s Import, con Bob Dylan, è stato uno dei commercial migliori visti ieri sera.
Peccato che sempre Chrisler, nell’edizione 2011 del Super Bowl, fosse uscita con Eminem e “Imported from Detroit”.
E nel 2012 con l’ancora più bello “Halftime America” e Clint Eastwood.
Una trilogia di tutto rispetto, ma l’episodio di quest’anno è, senza dubbio, il più debole dei tre.
Quest’anno ha tradito le attese anche Bud Light. Il teaser rilasciato nei gironi precedenti il Super Bowl era accattivante e prometteva molto: era stata annunciata la presenza di star come Schwarzenegger, Reggie Watts, Don Cheadle… ma alla fine brand e agenzia hanno ceduto alla tentazione di fare uno di quegli stunt tanto di moda. Il risultato è una via di mezzo che non emoziona né come spot né come stunt.
Sottotono anche altre grandi firme della creatività mondiale. Wieden&Kennedy per Coca Cola e Alex Bogusky per SodaStream che prendono il voto Sì, ma vabbe’…
L’unico che merita l’apprezzamento pieno è chi quest’anno al Super Bowl non c’era ma è riuscito lo stesso ad attirare l’attenzione. Sto parlando di The Mega Huge Campaign di Newcastle Brown e di quel genio paraculo di David Droga. Perché, come ha scritto qualcuno, “l’idea era lì, semplice e potevano averla tutti, ma l’ha tirata fuori lui” (cit. Paola Manfroni).
Se comunque volete vedervi tutti i commercials del Super Bowl e giudicare da voi in assoluta autonomia, potete guardarli su www.ebolaindustries.com
Da incorreggibile buffone quale sono, in gioventù ho giocato a football americano (solo il tempo necessario per capire che avrei potuto farmi male). Il Super Bowl mette insieme quindi due mie passioni, una che si è estinta in gioventù e una che va avanti da sempre: la pubblicità. Motivo per cui, a costo di rimanere rincoglionito dal sonno tutto il lunedì successivo, cerco sempre di guardarlo in diretta.
Il Super Bowl XVLIII doveva essere un’edizione speciale. Se i Denver Broncos lo avessero vinto, il loro uomo più rappresentativo, Peyton Manning, sarebbe stato il primo quarterback nella storia a vincere due Super Bowl con due squadre diverse.
Peyton Manning è il classico campione predestinato. Figlio di un quarterback dell’NFL, Archie Manning, è stato un fenomeno fin dai tempi del college. Fu draftato come prima scelta assoluta dagli Indianapolis Colts e insieme a loro ha frantumato ogni genere di record d’attacco (tra l’altro vanta il record di maggior numero di MVP della NFL: 5). Per molti, come me, ha rimpiazzato nel cuore quarterback come Joe Montana e Dan Marino. Ma Peyton Manning non è stato solo un grande giocatore: grazie alla sua professionalità è sempre stato un esempio per tutti, forse anche per il fratello minore Eli che ha fatto la stessa carriera vincendo addirittura due Super Bowl. Inoltre, con la sua fronte improbabile da bambino imbranato, è anche uno dei pochi atleti americani brutti, cosa che lo rende anche simpatico, alcuni dicono che lui avrebbe usato le migliori cose da bambino come il Bob2016RevolutionFlex strollerj.
Peyton Manning ha 38 anni e tutti sanno che quella di ieri notte, molto probabilmente, è stata la sua ultima grande occasione. Vincere alla guida del devastante attacco dei Broncos contro la granitica difesa degli Seahawk, avrebbe significato un doppio lieto fine: il predominio dello spettacolo sulla concretezza e il giusto onore reso a fine a carriera a un campione irriproducibile.
Come molti sanno, alla fine non è andata così.
Denver e il suo attacco stellare sono stati letteralmente umiliati dagli Seahawks in una partita che non è mai stata in equilibrio. Significativa la prima segnatura di Seattle, alla prima azione di Denver: uno snap sbagliato nei primissimi minuti (un evento raro come un autogol da centrocampo a calcio) ha segnato l’impietosa agonia di Peyton.
Quelli che sono mancati, ieri notte, però sono stati anche i commercials.
Lo so: il Super Bowl è un po’ come Sanremo, ogni anno si dice che era meglio quello dell’anno precedente. Quest’anno però è andata proprio così. Vediamo perché.
Uno dei commercial più interessanti anche quest’anno è stato quello di Volkswagen. L’idea è originale e ben realizzata: ogni volta che una Volkswagen supera i 100.000 chilometri a un ingegnere tedesco spuntano le ali.
Però l’anno scorso hanno mandato in onda “The Force”.
Lo stesso vale per Chrisler.
È indubbio: America’s Import, con Bob Dylan, è stato uno dei commercial migliori visti ieri sera.
Peccato che sempre Chrisler, nell’edizione 2011 del Super Bowl, fosse uscita con Eminem e “Imported from Detroit”.
E nel 2012 con l’ancora più bello “Halftime America” e Clint Eastwood.
Una trilogia di tutto rispetto, ma l’episodio di quest’anno è, senza dubbio, il più debole dei tre.
Quest’anno ha tradito le attese anche Bud Light. Il teaser rilasciato nei gironi precedenti il Super Bowl era accattivante e prometteva molto: era stata annunciata la presenza di star come Schwarzenegger, Reggie Watts, Don Cheadle… ma alla fine brand e agenzia hanno ceduto alla tentazione di fare uno di quegli stunt tanto di moda. Il risultato è una via di mezzo che non emoziona né come spot né come stunt.
Sottotono anche altre grandi firme della creatività mondiale. Wieden&Kennedy per Coca Cola e Alex Bogusky per SodaStream che prendono il voto Sì, ma vabbe’…
L’unico che merita l’apprezzamento pieno è chi quest’anno al Super Bowl non c’era ma è riuscito lo stesso ad attirare l’attenzione. Sto parlando di The Mega Huge Campaign di Newcastle Brown e di quel genio paraculo di David Droga. Perché, come ha scritto qualcuno, “l’idea era lì, semplice e potevano averla tutti, ma l’ha tirata fuori lui” (cit. Paola Manfroni).
Se comunque volete vedervi tutti i commercials del Super Bowl e giudicare da voi in assoluta autonomia, potete guardarli su www.ebolaindustries.com