Mi ero ripromesso di non comprarla. Ho ceduto: sto leggendo la biografia ufficiale di Steve Jobs. Parla di un uomo disposto a tutto, anche a tradire e umiliare gli amici e i collaboratori, pur di realizzare le proprie idee. Un uomo, però, con una visione lucidissima. Pubblico il paragrafo che parla della famosa campagna di lancio del Macintosh: è esemplare di come il marketing sia incapace di riconoscere le grandi idee ma anche di come noi creativi ci arrendiamo troppo facilmente di fronte a questo alibi.
Alla riunione annuale della forza vendita, alle Hawaii, i venditori erano rimasti colpiti dalla visione del filmato in anteprima. Così Jobs decise di proiettarlo anche alla riunione del consiglio di amministrazione del dicembre 1983. Quando nella sala consiliare si riaccesero le luci, tutti rimasero in silenzio. Philip Schlein, amministratore delegato di Macy’s California, aveva la testa sul tavolo. Markkula lo sguardo fisso nel vuoto e poteva anche sembrare fosse sopraffatto dalla potenza dl filmato pubblicitario. Poi parlò: “Chi vuole occuparsi di trovare una nuova agenzia?”. Come ricorda Sculley: “La maggior parte di loro erano convinti che fosse il peggior filmato pubblicitario che avessero mai visto”.
A Sculley vennero i sudori freddi. Chiese alla Chiat/Day di rivendere gli spazi che avevano acquistato per le due versioni, da sessanta e da trenta secondi. Jobs era fuori dalla grazia di Dio. Una sera, Wozniak, che si era fatto vedere ogni tanto alla Apple nei due anni precedenti, stava girando nell’edificio Macintosh. Jobs lo prese in disparte e gli disse: “Vieni a dare un’occhiata a questo”. Accese un videoregistratore e gli mostrò il filmato. “Ero basito” ricorda Wozniak. “Pensai che fosse la cosa più incredibile che avessi mai visto”. Quando Jobs gli rivelò che il consiglio aveva deciso di non passarlo durante il SuperBowl, Wozniak gli domandò quanto costasse quello spazio. Jobs gli rispose che si trattava di 800.000 dollari. Con la sua solita impulsiva bontà, Wozniak immediatamente propose: “Se tu paghi la metà, l’altra metà ce la metto io”.
E finì che dovette farlo. L’agenzia riuscì a rivendere lo spazio da trenta secondi nel secondo tempo, ma in un atto di sfida passiva non vendette quello più lungo. “Dicemmo loro che non eravamo riusciti a vendere il sessanta secondi, ma in realtà neppure ci avevamo provato” ricorda Lee Clow. Sculley, forse per evitare una resa dei conti con il consiglio di amministrazione o con Jobs, decise di lasciare a Bill Campbell, il capo del marketing, la responsabilità di decidere cosa fare. Campbell, l’ex allenatore di football, decise per il lancio lungo: “Penso che dovremo trasmetterlo” disse alla sua squadra.
All’inizio del terzo quaro del XVIII SuperBowl, i Raiders, che dominavano il campo, segnarono un touchdown ai Redskin e, invece della moviola, gli schermi televisivi di tutta la nazione si oscurarono per due interminabili secondi. Poi la spettrale immagine in bianco e nero di automi che marciavano al ritmo di una musica minacciosa occupò lo schermo. Più di 96 milioni di persone assistettero a una pubblicità diversa da tutte quelle che avevano visto fino ad allora. Alla fine, mentre gli automi guardavano atterriti il Grande Fratello che svaniva, una voce annunciò: “Il 24 gennaio, Apple computer presenterà Macintosh. E capirete perché il 1984 non sarà come 1984”.
Fu un fenomeno. Quella sera, tutti e tre i network nazionali e cinquanta stazioni locali mandarono in onda servizi su quella campagna pubblicitaria, dandole una diffusione virale senza precedenti nell’era pre-YouTube. Alla fine, lo spot fu scelto sia da TV Guide sia da Advertising Age come il miglior filmato pubblicitario di tutti i tempi.
Mi ero ripromesso di non comprarla. Ho ceduto: sto leggendo la biografia ufficiale di Steve Jobs. Parla di un uomo disposto a tutto, anche a tradire e umiliare gli amici e i collaboratori, pur di realizzare le proprie idee. Un uomo, però, con una visione lucidissima. Pubblico il paragrafo che parla della famosa campagna di lancio del Macintosh: è esemplare di come il marketing sia incapace di riconoscere le grandi idee ma anche di come noi creativi ci arrendiamo troppo facilmente di fronte a questo alibi.
Alla riunione annuale della forza vendita, alle Hawaii, i venditori erano rimasti colpiti dalla visione del filmato in anteprima. Così Jobs decise di proiettarlo anche alla riunione del consiglio di amministrazione del dicembre 1983. Quando nella sala consiliare si riaccesero le luci, tutti rimasero in silenzio. Philip Schlein, amministratore delegato di Macy’s California, aveva la testa sul tavolo. Markkula lo sguardo fisso nel vuoto e poteva anche sembrare fosse sopraffatto dalla potenza dl filmato pubblicitario. Poi parlò: “Chi vuole occuparsi di trovare una nuova agenzia?”. Come ricorda Sculley: “La maggior parte di loro erano convinti che fosse il peggior filmato pubblicitario che avessero mai visto”.
A Sculley vennero i sudori freddi. Chiese alla Chiat/Day di rivendere gli spazi che avevano acquistato per le due versioni, da sessanta e da trenta secondi. Jobs era fuori dalla grazia di Dio. Una sera, Wozniak, che si era fatto vedere ogni tanto alla Apple nei due anni precedenti, stava girando nell’edificio Macintosh. Jobs lo prese in disparte e gli disse: “Vieni a dare un’occhiata a questo”. Accese un videoregistratore e gli mostrò il filmato. “Ero basito” ricorda Wozniak. “Pensai che fosse la cosa più incredibile che avessi mai visto”. Quando Jobs gli rivelò che il consiglio aveva deciso di non passarlo durante il SuperBowl, Wozniak gli domandò quanto costasse quello spazio. Jobs gli rispose che si trattava di 800.000 dollari. Con la sua solita impulsiva bontà, Wozniak immediatamente propose: “Se tu paghi la metà, l’altra metà ce la metto io”.
E finì che dovette farlo. L’agenzia riuscì a rivendere lo spazio da trenta secondi nel secondo tempo, ma in un atto di sfida passiva non vendette quello più lungo. “Dicemmo loro che non eravamo riusciti a vendere il sessanta secondi, ma in realtà neppure ci avevamo provato” ricorda Lee Clow. Sculley, forse per evitare una resa dei conti con il consiglio di amministrazione o con Jobs, decise di lasciare a Bill Campbell, il capo del marketing, la responsabilità di decidere cosa fare. Campbell, l’ex allenatore di football, decise per il lancio lungo: “Penso che dovremo trasmetterlo” disse alla sua squadra.
All’inizio del terzo quaro del XVIII SuperBowl, i Raiders, che dominavano il campo, segnarono un touchdown ai Redskin e, invece della moviola, gli schermi televisivi di tutta la nazione si oscurarono per due interminabili secondi. Poi la spettrale immagine in bianco e nero di automi che marciavano al ritmo di una musica minacciosa occupò lo schermo. Più di 96 milioni di persone assistettero a una pubblicità diversa da tutte quelle che avevano visto fino ad allora. Alla fine, mentre gli automi guardavano atterriti il Grande Fratello che svaniva, una voce annunciò: “Il 24 gennaio, Apple computer presenterà Macintosh. E capirete perché il 1984 non sarà come 1984”.
Fu un fenomeno. Quella sera, tutti e tre i network nazionali e cinquanta stazioni locali mandarono in onda servizi su quella campagna pubblicitaria, dandole una diffusione virale senza precedenti nell’era pre-YouTube. Alla fine, lo spot fu scelto sia da TV Guide sia da Advertising Age come il miglior filmato pubblicitario di tutti i tempi.
(Tratto da Steve Jobs di Walter Isaacson)