In seguito a una denuncia (di cui nessuno conosce il motivo) del “Cenacolo di studi della civiltà cristiana Attilio Morandini”, Facebook ha prima chiuso il gruppo Advertown, dopodiché ha inasprito le sue azioni bloccando il profilo personale di Barbella e rendendo inaccessibili tutti gli altri spazi di condivisione che aveva creato.
La questione nei dettagli potete leggerla sul blog di KTTB.
Io mi limito a riportare la lettera che Barbella ha inviato alla mailing list dell’ADCI…
L’ULTIMO CENACOLO
ovvero: Perché sono fuori da Facebook.
Dopo la fine del comunismo e la crisi del capitalismo, il governo delle idee “soprattutto in Occidente, ma non solo” passa dalla politica al marketing, che ha ormai investito in modo capillare tutti gli aspetti dell’organizzazione sociale e persino la pace privata (si pensi all’invadenza del telemarketing). Al puro calcolo (elettorale) si ispirano ormai molti partiti vecchi e nuovi; al calcolo (commerciale) la maggior parte degli organi d’informazione; persino il web, salutato “con grandi speranze” come l’ultimo spazio vergine concesso al cittadino, comincia a scricchiolare sotto il peso di controlli, restrizioni e soprusi da parte di chi lo vorrebbe ridurre a una mera fonte di profitto, perdendo a poco a poco quell’aura di fai-da-te culturale che lo rendeva così diverso dai mezzi di comunicazione tradizionali.
Prendiamo il caso dei cosiddetti social network. Sapevo che Facebook, per citare il più popolare, era un geniale colpo di marketing (per l’appunto); ma in cambio sembrava aprirti un universo di nuove possibilità comunicative, e aderirvi appariva (e in gran parte tuttora appare) simpatico, vantaggioso, persino utile. Addirittura epico, in talune circostanze. Non dimenticherò mai che nel nostro paese Facebook è stato la culla (forse involontaria) di un’iniziativa spontanea e di grande successo come quella del Popolo Viola: una mobilitazione senza precedenti, nata dall’interazione di migliaia di cittadini che hanno scoperto di condividere lo stesso ideale di democrazia. E che si sono organizzati da sé, senza la guida di grandi partiti di massa o di sindacati o di altre istituzioni ufficiali: giacché Facebook stesso per essere il sito più visitato in assoluto dopo Google deve ormai considerarsi alla stregua di un’istituzione tra le più potenti del mondo. Cinquecento milioni di aderenti sono qualcosa di più dei soliti quattro gatti.
Se i grandi numeri fanno la forza di una leadership, ne costituiscono però anche il tallone d’Achille. I buoni propositi, prima o poi, vanno a farsi friggere per non mettere a rischio la stabilità di una rete sempre più vasta di equilibri. Come in qualsiasi regime dittatoriale nella sua fase più soft, la libertà spacciata a parole, e parzialmente tollerata per incrementare il consenso diventa inganno e illusione. Anche Facebook, dunque, ha il suo dark side; anche Facebook sa digrignare i denti e colpirti, incoraggiando delazioni e attentati alla libertà di pensiero e alla circolazione delle idee; né si prende il disturbo, nei confronti di chi sia finito nella sua black list, di spiegargliene le ragioni. Facebook è la copia virtuale di un mondo troppo reale per essere virtuoso; somministra dispetti e castighi sbandierando valori quali la privacy e la sicurezza, ma con un‚ipocrisia più umana nel senso peggiore che neutralmente logaritmica.
L’uso di Facebook che i suoi gestori prediligono è quello più naïf: scambio di foto di villeggiatura, auguri reciproci, chiacchiericcio alla buona, battutine senza peso; il social network come variante contemporanea della piazza o del bar dove si incontravano gli amici, spesso troppo infiacchiti dal duro lavoro giornaliero o dalla frustrazione di non averne uno per azzardare discorsi di qualche impegno. Lo struscio di una volta irretito nelle spire matematiche di un software e rendered sul monitor di un computer. Ma se si prova a usare Facebook per sostenere o suggerire qualcosa di più pensoso che il semplice cazzeggio, prima o poi arriva la mannaia e la festa è finita.
Vale la pena di raccontare la mia esperienza, non per la sua rilevanza ma perché ho scoperto è analoga a quella di moltissimi altri esiliati di tutto il mondo: dare un’occhiata a http://www.facebook.com/topic.php?uid=69178204322&topic=16450&post=99433 per farsi un’idea, vaga ma illuminante, delle angherie kafkiane cui tanti sono stati, sono e saranno sottoposti. Dico kafkiane perché, nel mio caso come in molti altri, i soggetti colpiti dal mobbing dei Facebook controllers non conoscono i motivi reali della persecuzione. I condannati non sono necessariamente, come sarebbe lecito aspettarsi, istigatori a delinquere, razzisti plateali, pedofili o magnaccia; ma comunissimi esseri umani, presi di mira da terzi misteriosi e implacabili.
Per quanto mi è dato saperne, io sono stato oggetto di attenzioni letali da parte di un‚associazione romana, il «Cenacolo di studi della civiltà cristiana Attilio Mordini» (http://www.tradizionecattolicamordini.it/home.html). Questa, insieme al nome di una persona (Giuseppe Passalacqua), è stata l’unica informazione passatami dal Facebook Team responsabile materiale della sentenza e della condanna nei miei confronti. Che cosa il Cenacolo, o il suo Passalacqua, abbiano avuto da dire contro di me o i miei post, è un mistero impenetrabile.
L’attacco è stato dapprima sferrato contro Advertown (uno dei gruppi da me fondati), per aver pubblicato secondo l’accusa elementi (imprecisati) che violavano i diritti del Cenacolo suddetto. Le mie continue rimostranze, le mie reiterate richieste di spiegazioni hanno ottenuto, per tutta risposta, il blocco del mio account. Non posso più accedere al mio profilo né ad altre pagine di Facebook. Se tento di forzare il blocco con la mia password, mi si richiede per ulteriori accertamenti sulla mia identità di rivelare il mio numero di telefono, che invece desidero tenere segreto ad ogni costo. Grazie al link fornitomi da un amico, accedo invece senza difficoltà alla pagina http://www.facebook.com/topic.php?uid=69178204322&topic=16450&post=99433: ed è come visitare un girone dell‚inferno:
«Or ci movemmo con la scorta fida
lungo la proda del bollor vermiglio,
dove i bolliti facieno alte strida.»
(Dante, Inferno, Canto XII, vv. 100-102)
I dannati del roadblock, bolliti senza imputazione e privati all‚improvviso del proprio giocattolo, sono decine, centinaia, forse migliaia o addirittura milioni: nessuno può contarli alla luce del sole, perché Faceblock (lapsus?) li ha confinati in un sottosuolo cieco e insonorizzato. Di tanto in tanto l’udito è sfiorato da quei lamenti, ma si fa in fretta a distrarsi, a dimenticarsene; del resto, le emergenze e le catastrofi del mondo reale sono ben più inquietanti, e deleterie, di qualsiasi iniquità perpetrata o subìta on line.
Le delusioni, anche le più cocenti, hanno sempre un lato buono: sono istruttive. Che cosa ho imparato, o reimparato, dalla mia? Ovvio: che si può vivere benissimo anche senza Facebook, come ho fatto per 68 anni e come mi propongo di fare, a partire da oggi, fino alla fine dei miei giorni, che spero non troppo vicina. Per un anno mi sono divertito a condividere, in un circolo di amici reali e virtuali, innocui scampoli di cultura (cinema, musica, reperti letterari, simpatie per artisti del passato e del presente) e pensieri sull’esistenza, sull’attualità, sulla politica. Niente di nuovissimo o di originale, beninteso; ma neanche di sovversivo, dato che per come la vedo io non si può essere veramente sovversivi in un paese come il nostro, dal momento che i sovversivi, quelli veri, sono al potere.
Advertown, del resto, era un semplice archivio di manifesti e annunci pubblicitari da manuale, e non poteva offendere o ledere i diritti di nessuno. Che cosa abbia spinto Facebook a oscurarlo, e poi a far tacere il suo fondatore, è un enigma. Io non so chi si nasconda dietro quel Cenacolo di cultura cristiana e perché ce l’abbia con me; non ho più nemmeno la curiosità di investigare sui suoi moventi; gli auguro sinceramente di andare a farsi fottere, e niente di più. Hanno impugnato il crocifisso per crocifiggermi, e sono evidentemente così distanti dall’anima mia da non meritare nemmeno un etto della mia indignazione. Ma Ponzio Pilato ovvero Facebook, che accoglie le accuse del primo che passa senza interpretarle, se ne lava le mani e non esita a tradire i suoi protetti vorrei vederlo morto e sepolto sotto cento giga di terra. Perché io credevo che fosse un cenacolo vero, o almeno possibile: mentre è solo una fabbrica di target groups manipolati, assortiti in base al sistema di parametri desiderato e offerti chiavi in mano agli inserzionisti, esattamente come la televisione nazionalpopolare dei fratelloni e delle veline.
Scrivo qui quello che ho scritto anche altrove: Quello capitato a Pasquale Barbella e’ frequente nell’ambito di FB e colpisce tanto gruppi politicamente di destra, quanto di sinistra, quanto iniziative politicamente inoffensive come quella di Advertown.
Denunciare la disfuzione per invitare FB a migliorare e’ utile, ma, parlando in generale, è molto piu’ costruttivo provvedere a soluzioni di backup: un blog esterno (con la SUA soluzione di backup) che rifletta i contenuti della pagina di FB, la creazione di una nuova pagina su FB, ecc.
Quello che alcuni presunti perseguitati fanno fatica a comprendere e’ che FB è un sistema estremamente complesso con miliardi di transazioni, e gli errori capitano (intendendo per errori anche segnalazioni non ben verificate, come in questo caso).
Tutti auspichiamo che FB funzioni meglio, ma non prepararsi al peggio e’ ingenuo come andare in montagna in maglietta sperando che il tempo sia sempre bello. O concedere un’intervista a un giornalista pensando che egli farà di tutto per rappresentare al meglio il tuo pensiero.
Ciao Gianni, forse la cosa ti stupirà, ma la penso esattamente come te.
Ho postato la notizia per dovere di cronaca, ma io stesso ho un blog e uso FB semplicemente come amplificatore di contenuti, ben consapevole che si tratti di un sistema chiuso.
Sono comunque contento che la vicenda abbia, per una volta, messo d’accordo tutto l’ambiente.
In seguito a una denuncia (di cui nessuno conosce il motivo) del “Cenacolo di studi della civiltà cristiana Attilio Morandini”, Facebook ha prima chiuso il gruppo Advertown, dopodiché ha inasprito le sue azioni bloccando il profilo personale di Barbella e rendendo inaccessibili tutti gli altri spazi di condivisione che aveva creato.
La questione nei dettagli potete leggerla sul blog di KTTB.
Io mi limito a riportare la lettera che Barbella ha inviato alla mailing list dell’ADCI…
L’ULTIMO CENACOLO
ovvero: Perché sono fuori da Facebook.
Dopo la fine del comunismo e la crisi del capitalismo, il governo delle idee “soprattutto in Occidente, ma non solo” passa dalla politica al marketing, che ha ormai investito in modo capillare tutti gli aspetti dell’organizzazione sociale e persino la pace privata (si pensi all’invadenza del telemarketing). Al puro calcolo (elettorale) si ispirano ormai molti partiti vecchi e nuovi; al calcolo (commerciale) la maggior parte degli organi d’informazione; persino il web, salutato “con grandi speranze” come l’ultimo spazio vergine concesso al cittadino, comincia a scricchiolare sotto il peso di controlli, restrizioni e soprusi da parte di chi lo vorrebbe ridurre a una mera fonte di profitto, perdendo a poco a poco quell’aura di fai-da-te culturale che lo rendeva così diverso dai mezzi di comunicazione tradizionali.
Prendiamo il caso dei cosiddetti social network. Sapevo che Facebook, per citare il più popolare, era un geniale colpo di marketing (per l’appunto); ma in cambio sembrava aprirti un universo di nuove possibilità comunicative, e aderirvi appariva (e in gran parte tuttora appare) simpatico, vantaggioso, persino utile. Addirittura epico, in talune circostanze. Non dimenticherò mai che nel nostro paese Facebook è stato la culla (forse involontaria) di un’iniziativa spontanea e di grande successo come quella del Popolo Viola: una mobilitazione senza precedenti, nata dall’interazione di migliaia di cittadini che hanno scoperto di condividere lo stesso ideale di democrazia. E che si sono organizzati da sé, senza la guida di grandi partiti di massa o di sindacati o di altre istituzioni ufficiali: giacché Facebook stesso per essere il sito più visitato in assoluto dopo Google deve ormai considerarsi alla stregua di un’istituzione tra le più potenti del mondo. Cinquecento milioni di aderenti sono qualcosa di più dei soliti quattro gatti.
Se i grandi numeri fanno la forza di una leadership, ne costituiscono però anche il tallone d’Achille. I buoni propositi, prima o poi, vanno a farsi friggere per non mettere a rischio la stabilità di una rete sempre più vasta di equilibri. Come in qualsiasi regime dittatoriale nella sua fase più soft, la libertà spacciata a parole, e parzialmente tollerata per incrementare il consenso diventa inganno e illusione. Anche Facebook, dunque, ha il suo dark side; anche Facebook sa digrignare i denti e colpirti, incoraggiando delazioni e attentati alla libertà di pensiero e alla circolazione delle idee; né si prende il disturbo, nei confronti di chi sia finito nella sua black list, di spiegargliene le ragioni. Facebook è la copia virtuale di un mondo troppo reale per essere virtuoso; somministra dispetti e castighi sbandierando valori quali la privacy e la sicurezza, ma con un‚ipocrisia più umana nel senso peggiore che neutralmente logaritmica.
L’uso di Facebook che i suoi gestori prediligono è quello più naïf: scambio di foto di villeggiatura, auguri reciproci, chiacchiericcio alla buona, battutine senza peso; il social network come variante contemporanea della piazza o del bar dove si incontravano gli amici, spesso troppo infiacchiti dal duro lavoro giornaliero o dalla frustrazione di non averne uno per azzardare discorsi di qualche impegno. Lo struscio di una volta irretito nelle spire matematiche di un software e rendered sul monitor di un computer. Ma se si prova a usare Facebook per sostenere o suggerire qualcosa di più pensoso che il semplice cazzeggio, prima o poi arriva la mannaia e la festa è finita.
Vale la pena di raccontare la mia esperienza, non per la sua rilevanza ma perché ho scoperto è analoga a quella di moltissimi altri esiliati di tutto il mondo: dare un’occhiata a http://www.facebook.com/topic.php?uid=69178204322&topic=16450&post=99433 per farsi un’idea, vaga ma illuminante, delle angherie kafkiane cui tanti sono stati, sono e saranno sottoposti. Dico kafkiane perché, nel mio caso come in molti altri, i soggetti colpiti dal mobbing dei Facebook controllers non conoscono i motivi reali della persecuzione. I condannati non sono necessariamente, come sarebbe lecito aspettarsi, istigatori a delinquere, razzisti plateali, pedofili o magnaccia; ma comunissimi esseri umani, presi di mira da terzi misteriosi e implacabili.
Per quanto mi è dato saperne, io sono stato oggetto di attenzioni letali da parte di un‚associazione romana, il «Cenacolo di studi della civiltà cristiana Attilio Mordini» (http://www.tradizionecattolicamordini.it/home.html). Questa, insieme al nome di una persona (Giuseppe Passalacqua), è stata l’unica informazione passatami dal Facebook Team responsabile materiale della sentenza e della condanna nei miei confronti. Che cosa il Cenacolo, o il suo Passalacqua, abbiano avuto da dire contro di me o i miei post, è un mistero impenetrabile.
L’attacco è stato dapprima sferrato contro Advertown (uno dei gruppi da me fondati), per aver pubblicato secondo l’accusa elementi (imprecisati) che violavano i diritti del Cenacolo suddetto. Le mie continue rimostranze, le mie reiterate richieste di spiegazioni hanno ottenuto, per tutta risposta, il blocco del mio account. Non posso più accedere al mio profilo né ad altre pagine di Facebook. Se tento di forzare il blocco con la mia password, mi si richiede per ulteriori accertamenti sulla mia identità di rivelare il mio numero di telefono, che invece desidero tenere segreto ad ogni costo. Grazie al link fornitomi da un amico, accedo invece senza difficoltà alla pagina http://www.facebook.com/topic.php?uid=69178204322&topic=16450&post=99433: ed è come visitare un girone dell‚inferno:
«Or ci movemmo con la scorta fida
lungo la proda del bollor vermiglio,
dove i bolliti facieno alte strida.»
(Dante, Inferno, Canto XII, vv. 100-102)
I dannati del roadblock, bolliti senza imputazione e privati all‚improvviso del proprio giocattolo, sono decine, centinaia, forse migliaia o addirittura milioni: nessuno può contarli alla luce del sole, perché Faceblock (lapsus?) li ha confinati in un sottosuolo cieco e insonorizzato. Di tanto in tanto l’udito è sfiorato da quei lamenti, ma si fa in fretta a distrarsi, a dimenticarsene; del resto, le emergenze e le catastrofi del mondo reale sono ben più inquietanti, e deleterie, di qualsiasi iniquità perpetrata o subìta on line.
Le delusioni, anche le più cocenti, hanno sempre un lato buono: sono istruttive. Che cosa ho imparato, o reimparato, dalla mia? Ovvio: che si può vivere benissimo anche senza Facebook, come ho fatto per 68 anni e come mi propongo di fare, a partire da oggi, fino alla fine dei miei giorni, che spero non troppo vicina. Per un anno mi sono divertito a condividere, in un circolo di amici reali e virtuali, innocui scampoli di cultura (cinema, musica, reperti letterari, simpatie per artisti del passato e del presente) e pensieri sull’esistenza, sull’attualità, sulla politica. Niente di nuovissimo o di originale, beninteso; ma neanche di sovversivo, dato che per come la vedo io non si può essere veramente sovversivi in un paese come il nostro, dal momento che i sovversivi, quelli veri, sono al potere.
Advertown, del resto, era un semplice archivio di manifesti e annunci pubblicitari da manuale, e non poteva offendere o ledere i diritti di nessuno. Che cosa abbia spinto Facebook a oscurarlo, e poi a far tacere il suo fondatore, è un enigma. Io non so chi si nasconda dietro quel Cenacolo di cultura cristiana e perché ce l’abbia con me; non ho più nemmeno la curiosità di investigare sui suoi moventi; gli auguro sinceramente di andare a farsi fottere, e niente di più. Hanno impugnato il crocifisso per crocifiggermi, e sono evidentemente così distanti dall’anima mia da non meritare nemmeno un etto della mia indignazione. Ma Ponzio Pilato ovvero Facebook, che accoglie le accuse del primo che passa senza interpretarle, se ne lava le mani e non esita a tradire i suoi protetti vorrei vederlo morto e sepolto sotto cento giga di terra. Perché io credevo che fosse un cenacolo vero, o almeno possibile: mentre è solo una fabbrica di target groups manipolati, assortiti in base al sistema di parametri desiderato e offerti chiavi in mano agli inserzionisti, esattamente come la televisione nazionalpopolare dei fratelloni e delle veline.
Pasquale Barbella, Lesmo (MB)
Comments (4)
Per solidarietà giro e condivido.
Bravo 😉
Scrivo qui quello che ho scritto anche altrove: Quello capitato a Pasquale Barbella e’ frequente nell’ambito di FB e colpisce tanto gruppi politicamente di destra, quanto di sinistra, quanto iniziative politicamente inoffensive come quella di Advertown.
Denunciare la disfuzione per invitare FB a migliorare e’ utile, ma, parlando in generale, è molto piu’ costruttivo provvedere a soluzioni di backup: un blog esterno (con la SUA soluzione di backup) che rifletta i contenuti della pagina di FB, la creazione di una nuova pagina su FB, ecc.
Quello che alcuni presunti perseguitati fanno fatica a comprendere e’ che FB è un sistema estremamente complesso con miliardi di transazioni, e gli errori capitano (intendendo per errori anche segnalazioni non ben verificate, come in questo caso).
Tutti auspichiamo che FB funzioni meglio, ma non prepararsi al peggio e’ ingenuo come andare in montagna in maglietta sperando che il tempo sia sempre bello. O concedere un’intervista a un giornalista pensando che egli farà di tutto per rappresentare al meglio il tuo pensiero.
Ciao Gianni, forse la cosa ti stupirà, ma la penso esattamente come te.
Ho postato la notizia per dovere di cronaca, ma io stesso ho un blog e uso FB semplicemente come amplificatore di contenuti, ben consapevole che si tratti di un sistema chiuso.
Sono comunque contento che la vicenda abbia, per una volta, messo d’accordo tutto l’ambiente.