I princìpi sono belli da vantare, ma difficili da rispettare.
Non so quali siano i vostri, se ne avete di grandi oppure di piccoli, ma so che a prescindere dall’importanza dei princìpi prima o poi bisogna confrontarsi con una cosa fastidiosa chiamata coerenza.
E così è capitato a me.
Il giorno in cui ho promesso a me stesso di non produrre fake ma piuttosto di concentrare le migliori energie della mia agenzia sui lavori reali pensavo che, dato che si trattava di un principio minore, sarebbe stato facile da perseguire. Tralascio le motivazioni di questa scelta (chi volesse approfondirle può leggere il post Una volta qui era tutte campagne), la cosa importante da sapere è che rispettarlo non è stato affatto semplice.
Non immaginate quante volte ho pensato di lasciar perdere. È successo spesso con l’arrivo della stagione dei premi pubblicitari, quando scoprivo che gente con un decimo del talento dei miei creativi veniva premiata per i progetti più disparati, da campagne integrate per negozi di alimentari di paese fino ad app che permettevano ai malati di Alzheimer di fare le parole crociate. Progetti che potremmo definire originali, ma che sono palesemente finti.
Non dico che tutti i progetti pubblicitari premiati sono fake, attenzione, ma è indubbio che moltissime agenzie cercano scorciatoie quando si tratta di premi. Vengono investite troppe energie, economiche e mentali, per progetti che sollevano per qualche istante l’ego dei creativi ma che non scalfiscono neppure superficialmente l’attenzione delle persone che vivono al di fuori del nostro piccolo e ristretto ambiente.
Nonostante questa mia ferrea convinzione, a un certo punto mi è venuto il dubbio: è giusto che io scelga anche per gli altri? E cioè, se ho deciso che questo è uno dei miei pochi e piccoli princìpi, è giusto che anche quelli che lavorano per me ne paghino le conseguenze? Perché, anche se io le giudico fittizie, sicuramente ho tolto loro diverse gratificazioni professionali.
Per ovviare a questi dubbi, in questi anni mi sono ripetuto che la mia non è stata solo una scelta etica: rinunciare ai fake vuol dire impegnarsi al massimo su ogni tipo di lavoro, su quelli reali e anche su quelli noiosi e quotidiani, e quindi significa inseguire con determinazione quella chimera contemporanea che molti creativi definiscono rilevanza. “Se cerchiamo di far bene anche il lavoro più umile” ho sempre pensato, “svilupperemo la giusta mentalità per dare il massimo il giorno in cui ci capiterà una bella e grande opportunità reale”.
Anche se quella grande opportunità sembrava non arrivare mai, tanto che ho iniziato a temere che quel progetto grande e vero che auspicavo fosse diventato la mia balena bianca. Ma alla fine, qualche mese fa, è successo quello che ho sempre sperato: tutta la resilienza accumulata in questi anni ha permesso a un’agenzia indipendente come la nostra di portare a casa un progetto enorme.
E va bene se non è una campagna che sbancherà i premi pubblicitari, va bene se mi stanno arrivando critiche sull’uso facile del testimonial, va bene se pochi hanno notato il fatto che per la prima volta si vede un uomo fare la lavatrice, pazienza se negli Stati Uniti con un detersivo sono riusciti addirittura a vincere un Grand Prix ai Cannes Lions… io mi accontento della campagna che sta uscendo in questi giorni, perché è una campagna rilevante.
Eccome se è rilevante.
Il brand è uno dei più importanti in Italia: Dash.
Il testimonial uno dei più amati in assoluto: Francesco Totti
Il regista uno dei più conosciuti nel panorama nazionale: Paolo Genovese.
Ma soprattutto è un progetto ambizioso che si pone l’obiettivo di cambiare le abitudini di consumo nella categoria regina del mass market.
È una campagna per cui all’inizio dovevamo fare solo dei video web, ma poi abbiamo finito per declinarla su tutto: televisione (qui potete vedere tutti i soggetti), affissione, dinamica, punto vendita…
E, come ho già risposto ad alcuni post critici di Facebook, sono felice e orgoglioso di averla fatta: mi ripaga di anni di convinzioni che sembravano utopiche. Ma siccome i sacrifici non sono stati solo miei, devo ringraziare le persone che hanno sopportato me e le mie assurde scelte di principio, persone che in tutti questi anni hanno dato il massimo su ogni lavoro fino ad arrivare a quest’ultimo. Volevo ringraziarli perché grazie alla loro dedizione e alle loro capacità professionali hanno permesso di chiudere questo faticoso cerchio.
È stato un successo di tutti, anche di quelli tra di noi che ci hanno lavorato di meno oppure non direttamente. E quindi grazie a tutti, di cuore. Grazie a Giulia che nel giro di pochissimo è diventata una colonna portante di ET. Grazie a Simona, Nunzio e Marika per tutti questi anni di enorme qualità professionale. E grazie in particolar modo al creativo polivalente Roberto Ramaglia, che è un po’ il fratello minore che non ho avuto e che da buon figlio unico non avrei mai voluto avere, e ad Antonella, per cui il termine resilienza è un blando vezzeggiativo.
Oltre a ringraziarvi volevo dirvi che sicuramente avete vinto meno premi di quelli che il vostro talento avrebbe meritato, ma ora siete fra i pochi creativi italiani che possono vantare una campagna davvero rilevante, che la gente ricorderà. Anche se, e purtroppo devo deludere Ramaglia, la sua popolarità non sarà mai a livello di quella dello spot del Pennello Cinghiale oppure della Cedrata Tassoni.
Complimenti a tutto il team, Mizio.
Mi interessa molto il tema del creativo polivalente. Immaginando che non sia semplicemente l’espressione di un’anima art e di una copy racchiuse nello stesso corpo, vorrei sapere che competenze e responsabilità si richiedono ad un professionista del genere e come avete affrontato insieme il lavoro su questa campagna. Grazie. Un abbraccio Andrea
Ciao Andrea, cerco di spiegarti il tema del creativo polivalente 🙂 Le agenzie indipendenti, al contrario dei network, hanno la necessitò di far quadrare i conti ogni anno. Si privilegiano quindi risorse che abbiano competenze flessibili, anche perché i progress mirano a spostare le persone su discipline diverse. le competenze delle persone che lavorano in ET, quindi, sono più orizzontali che verticali. Roberto poi è un caso specifico, nel senso che la sua forza risiede proprio nell’eccentricità. È uno che voleva fare l’art ma che io ho messo subito a fare il copy perché ho visto che era lì che aveva maggior talento. La cosa buffa è che poi si è appassionato anche di digital ed è diventato, secondo me, uno dei creativi digital più bravi che ci sono in giro. A riprova di tutto quello che ti ho detto, controlla i credits che trovi sulle riviste di settore. Se questa campagna l’avesse fatta un network troveresti 20 nomi, nei nostri credits ne trovi 5.
I princìpi sono belli da vantare, ma difficili da rispettare.
Non so quali siano i vostri, se ne avete di grandi oppure di piccoli, ma so che a prescindere dall’importanza dei princìpi prima o poi bisogna confrontarsi con una cosa fastidiosa chiamata coerenza.
E così è capitato a me.
Il giorno in cui ho promesso a me stesso di non produrre fake ma piuttosto di concentrare le migliori energie della mia agenzia sui lavori reali pensavo che, dato che si trattava di un principio minore, sarebbe stato facile da perseguire. Tralascio le motivazioni di questa scelta (chi volesse approfondirle può leggere il post Una volta qui era tutte campagne), la cosa importante da sapere è che rispettarlo non è stato affatto semplice.
Non immaginate quante volte ho pensato di lasciar perdere. È successo spesso con l’arrivo della stagione dei premi pubblicitari, quando scoprivo che gente con un decimo del talento dei miei creativi veniva premiata per i progetti più disparati, da campagne integrate per negozi di alimentari di paese fino ad app che permettevano ai malati di Alzheimer di fare le parole crociate. Progetti che potremmo definire originali, ma che sono palesemente finti.
Non dico che tutti i progetti pubblicitari premiati sono fake, attenzione, ma è indubbio che moltissime agenzie cercano scorciatoie quando si tratta di premi. Vengono investite troppe energie, economiche e mentali, per progetti che sollevano per qualche istante l’ego dei creativi ma che non scalfiscono neppure superficialmente l’attenzione delle persone che vivono al di fuori del nostro piccolo e ristretto ambiente.
Nonostante questa mia ferrea convinzione, a un certo punto mi è venuto il dubbio: è giusto che io scelga anche per gli altri? E cioè, se ho deciso che questo è uno dei miei pochi e piccoli princìpi, è giusto che anche quelli che lavorano per me ne paghino le conseguenze? Perché, anche se io le giudico fittizie, sicuramente ho tolto loro diverse gratificazioni professionali.
Per ovviare a questi dubbi, in questi anni mi sono ripetuto che la mia non è stata solo una scelta etica: rinunciare ai fake vuol dire impegnarsi al massimo su ogni tipo di lavoro, su quelli reali e anche su quelli noiosi e quotidiani, e quindi significa inseguire con determinazione quella chimera contemporanea che molti creativi definiscono rilevanza.
“Se cerchiamo di far bene anche il lavoro più umile” ho sempre pensato, “svilupperemo la giusta mentalità per dare il massimo il giorno in cui ci capiterà una bella e grande opportunità reale”.
Anche se quella grande opportunità sembrava non arrivare mai, tanto che ho iniziato a temere che quel progetto grande e vero che auspicavo fosse diventato la mia balena bianca. Ma alla fine, qualche mese fa, è successo quello che ho sempre sperato: tutta la resilienza accumulata in questi anni ha permesso a un’agenzia indipendente come la nostra di portare a casa un progetto enorme.
E va bene se non è una campagna che sbancherà i premi pubblicitari, va bene se mi stanno arrivando critiche sull’uso facile del testimonial, va bene se pochi hanno notato il fatto che per la prima volta si vede un uomo fare la lavatrice, pazienza se negli Stati Uniti con un detersivo sono riusciti addirittura a vincere un Grand Prix ai Cannes Lions… io mi accontento della campagna che sta uscendo in questi giorni, perché è una campagna rilevante.
Eccome se è rilevante.
Il brand è uno dei più importanti in Italia: Dash.
Il testimonial uno dei più amati in assoluto: Francesco Totti
Il regista uno dei più conosciuti nel panorama nazionale: Paolo Genovese.
Ma soprattutto è un progetto ambizioso che si pone l’obiettivo di cambiare le abitudini di consumo nella categoria regina del mass market.
È una campagna per cui all’inizio dovevamo fare solo dei video web, ma poi abbiamo finito per declinarla su tutto: televisione (qui potete vedere tutti i soggetti), affissione, dinamica, punto vendita…
E, come ho già risposto ad alcuni post critici di Facebook, sono felice e orgoglioso di averla fatta: mi ripaga di anni di convinzioni che sembravano utopiche. Ma siccome i sacrifici non sono stati solo miei, devo ringraziare le persone che hanno sopportato me e le mie assurde scelte di principio, persone che in tutti questi anni hanno dato il massimo su ogni lavoro fino ad arrivare a quest’ultimo. Volevo ringraziarli perché grazie alla loro dedizione e alle loro capacità professionali hanno permesso di chiudere questo faticoso cerchio.
È stato un successo di tutti, anche di quelli tra di noi che ci hanno lavorato di meno oppure non direttamente. E quindi grazie a tutti, di cuore. Grazie a Giulia che nel giro di pochissimo è diventata una colonna portante di ET. Grazie a Simona, Nunzio e Marika per tutti questi anni di enorme qualità professionale. E grazie in particolar modo al creativo polivalente Roberto Ramaglia, che è un po’ il fratello minore che non ho avuto e che da buon figlio unico non avrei mai voluto avere, e ad Antonella, per cui il termine resilienza è un blando vezzeggiativo.
Oltre a ringraziarvi volevo dirvi che sicuramente avete vinto meno premi di quelli che il vostro talento avrebbe meritato, ma ora siete fra i pochi creativi italiani che possono vantare una campagna davvero rilevante, che la gente ricorderà. Anche se, e purtroppo devo deludere Ramaglia, la sua popolarità non sarà mai a livello di quella dello spot del Pennello Cinghiale oppure della Cedrata Tassoni.
Comments (4)
Complimenti a tutto il team, Mizio.
Mi interessa molto il tema del creativo polivalente. Immaginando che non sia semplicemente l’espressione di un’anima art e di una copy racchiuse nello stesso corpo, vorrei sapere che competenze e responsabilità si richiedono ad un professionista del genere e come avete affrontato insieme il lavoro su questa campagna. Grazie. Un abbraccio Andrea
Ciao Andrea, cerco di spiegarti il tema del creativo polivalente 🙂 Le agenzie indipendenti, al contrario dei network, hanno la necessitò di far quadrare i conti ogni anno. Si privilegiano quindi risorse che abbiano competenze flessibili, anche perché i progress mirano a spostare le persone su discipline diverse. le competenze delle persone che lavorano in ET, quindi, sono più orizzontali che verticali. Roberto poi è un caso specifico, nel senso che la sua forza risiede proprio nell’eccentricità. È uno che voleva fare l’art ma che io ho messo subito a fare il copy perché ho visto che era lì che aveva maggior talento. La cosa buffa è che poi si è appassionato anche di digital ed è diventato, secondo me, uno dei creativi digital più bravi che ci sono in giro. A riprova di tutto quello che ti ho detto, controlla i credits che trovi sulle riviste di settore. Se questa campagna l’avesse fatta un network troveresti 20 nomi, nei nostri credits ne trovi 5.
Grazie Mizio, chiarissimo. Complimenti ancora a Roberto e agli altri enfants.
Non so come mi sia apparso questo post,ma…complimenti!