Uno degli hashtag più popolari su Twitter in questo periodo è #daunideadistefanoaccorsi e raccoglie i tweet sarcastici sulla serie 1992. Tra questi ce n’è uno che riflette fedelmente quello che si è visto ieri sera nelle puntate cinque e sei: “Cominciamo a temere che 1992 non sia l’anno ma le trombate di Accorsi” (@finleyofficial).
Avevo grandi aspettative nei confronti di 1992, un po’ perché come molti fanatici di serie ero in crisi astinenza per la fine di alcune (Breaking Bad, True Detective, Fargo) oltre che per la pausa di altre (Mad Men e Game of Thrones), e un po’ perché negli ultimi tempi Sky aveva dimostrato di riuscire a produrre serie di buona qualità (Gomorra).
Il battage su 1992 è stato tanto, purtroppo le aspettative sono andate deluse in maniera direttamente proporzionale alla messa in onda delle puntate, questo a partire dal casting. Uno dei più grandi difetti di 1992 è infatti la recitazione, e non sto parlando di sfumature sto dicendo che proprio non si comprendono le battute.
In vetta alla classifica d’incomprensibilità c’è Tea Falco, a cui non solo hanno incardinato le mascelle ma hanno dato pure un finto accento milanese che risulta insopportabile. Avete presente il fastidio che si prova quando uno del nord prova a scimmiottare il romanesco? Bene, vale anche il contrario.
Il personaggio di Baby, Didi, Bedi (non si capisce nemmeno quale cazzo sia il suo vezzeggiativo) giustifica da solo il cambio di canale.
È lo stesso fastidio che si prova nel sentire Bentivoglio parlare in finto dialetto brianzolo nel Capitale Umano e che ci fa pensare che sia un film di merda (la stessa cosa che ha pensato l’Academy, d’altronde).
Rispetto a Tea Falco, Miriam Leoni è Meryl Streep, peccato che sia impossibile giudicarla dato che non sappiamo se sia capace di recitare in piedi: è sempre ripresa sdraiata oppure carponi.
Guido Caprino, quello che interpreta il leghista, è talmente macchiettistico da risultare fastidioso solo un quid meno della Falco.
Il poliziotto, invece, è talmente evanescente che non ricordi né il nome dell’attore né quello del personaggio.
Accorsi non recita male, ci mancherebbe, ma il suo personaggio è scritto in maniera pessima e il suo livello di recitazione è talmente differente dagli altri che ogni volta che appare sullo schermo si è vittima di un senso di straniamento (e questo anche le poche volte che si presenta vestito).
I personaggi storici tradotti sullo schermo provocano un effetto farsesco. L’unico che si salva, forse, è Di Pietro, ma ogni volta che inquadrano uno del pool mani pulite è inevitabile subire un tracollo: perché far interpretare Piercamillo Davigo a un nano? E perché invece Gherardo Colombo è un lungagnone allampanato, sempre muto e in sottofondo?
Bossi, Craxi, Berlusconi vengono ripresi sempre di spalle, ma le loro voci imitate sono sufficienti per togliere alla serie ogni parvenza di autenticità. Forse il difetto di fondo non è da imputare all’incapacità degli attori quanto dall’aver scelto un periodo troppo vicino a quello attuale, con alcuni protagonisti tuttora in vita e in attività. Resta il fatto che ogni volta che entra in scena uno di questi protagonisti imitati è impossibile non provare il paradossale effetto Bagaglino.
La sceneggiatura è un altro aspetto critico della serie: uno si aspetta che la storia si focalizzi su Tangentopoli, mentre la vicenda di mani pulite diventa più periferica a ogni puntata. In compenso vengono introdotte vicende storiche a riempimento, ma senza grande raziocinio: l’AIDS, lo scandalo delle case farmaceutiche e il sangue infetto, la strage di Capaci e l’attentato a Borsellino, la morte dei soldati in Iraq per l’uranio impoverito…
Insomma, sembra che gli sceneggiatori si siano fatti prendere la mano dall’entusiasmo ma alla fine abbiano perso il filo della storia.
Le integrazioni fra realtà e fiction sono infelici.
Scoprire che Di Pietro si è fatto suggerire l’idea di Tangentopoli dal protagonista meno protagonista della storia della tv italiana è deludente. Molto più divertente è sapere che la discesa in campo di Berlusconi viene #daunideadistefanoaccorsi.
Pian piano il plot si trasforma inesorabilmente in flop perdendo aderenza con la credibilità e la realtà dell’epoca, deragliando quindi sulle singole storie di fiction. Peccato che queste ultime siano banali.
E gli intrecci sono forzati, a volte addirittura incongruenti (l’impressione finale è che una folata di vento abbia sparpagliato le pagine del copione e gli sceneggiatori abbiano cercano inutilmente di ristabilirne l’ordine).
Conclusione: 1992 è un lontano parente di Gomorra, al limite può essere figlio di 100 vetrine.
P.S.
La buona notizia è che lunedì è ripartita la stagione finale di Mad Men.
Per scoprire la sottile differenza tra questa serie e 1992, basta guardare una qualsiasi presentazione di Donald Draper. Dopodiché provate a paragonarla alla scena in cui #daunideadistefanoaccorsi nasce la prima campagna con Giovanni Rana (con annesso il peggior product placement di sempre).
Uno degli hashtag più popolari su Twitter in questo periodo è #daunideadistefanoaccorsi e raccoglie i tweet sarcastici sulla serie 1992. Tra questi ce n’è uno che riflette fedelmente quello che si è visto ieri sera nelle puntate cinque e sei: “Cominciamo a temere che 1992 non sia l’anno ma le trombate di Accorsi” (@finleyofficial).
Avevo grandi aspettative nei confronti di 1992, un po’ perché come molti fanatici di serie ero in crisi astinenza per la fine di alcune (Breaking Bad, True Detective, Fargo) oltre che per la pausa di altre (Mad Men e Game of Thrones), e un po’ perché negli ultimi tempi Sky aveva dimostrato di riuscire a produrre serie di buona qualità (Gomorra).
Il battage su 1992 è stato tanto, purtroppo le aspettative sono andate deluse in maniera direttamente proporzionale alla messa in onda delle puntate, questo a partire dal casting. Uno dei più grandi difetti di 1992 è infatti la recitazione, e non sto parlando di sfumature sto dicendo che proprio non si comprendono le battute.
In vetta alla classifica d’incomprensibilità c’è Tea Falco, a cui non solo hanno incardinato le mascelle ma hanno dato pure un finto accento milanese che risulta insopportabile. Avete presente il fastidio che si prova quando uno del nord prova a scimmiottare il romanesco? Bene, vale anche il contrario.
Il personaggio di Baby, Didi, Bedi (non si capisce nemmeno quale cazzo sia il suo vezzeggiativo) giustifica da solo il cambio di canale.
È lo stesso fastidio che si prova nel sentire Bentivoglio parlare in finto dialetto brianzolo nel Capitale Umano e che ci fa pensare che sia un film di merda (la stessa cosa che ha pensato l’Academy, d’altronde).
Rispetto a Tea Falco, Miriam Leoni è Meryl Streep, peccato che sia impossibile giudicarla dato che non sappiamo se sia capace di recitare in piedi: è sempre ripresa sdraiata oppure carponi.
Guido Caprino, quello che interpreta il leghista, è talmente macchiettistico da risultare fastidioso solo un quid meno della Falco.
Il poliziotto, invece, è talmente evanescente che non ricordi né il nome dell’attore né quello del personaggio.
Accorsi non recita male, ci mancherebbe, ma il suo personaggio è scritto in maniera pessima e il suo livello di recitazione è talmente differente dagli altri che ogni volta che appare sullo schermo si è vittima di un senso di straniamento (e questo anche le poche volte che si presenta vestito).
I personaggi storici tradotti sullo schermo provocano un effetto farsesco. L’unico che si salva, forse, è Di Pietro, ma ogni volta che inquadrano uno del pool mani pulite è inevitabile subire un tracollo: perché far interpretare Piercamillo Davigo a un nano? E perché invece Gherardo Colombo è un lungagnone allampanato, sempre muto e in sottofondo?
Bossi, Craxi, Berlusconi vengono ripresi sempre di spalle, ma le loro voci imitate sono sufficienti per togliere alla serie ogni parvenza di autenticità. Forse il difetto di fondo non è da imputare all’incapacità degli attori quanto dall’aver scelto un periodo troppo vicino a quello attuale, con alcuni protagonisti tuttora in vita e in attività. Resta il fatto che ogni volta che entra in scena uno di questi protagonisti imitati è impossibile non provare il paradossale effetto Bagaglino.
La sceneggiatura è un altro aspetto critico della serie: uno si aspetta che la storia si focalizzi su Tangentopoli, mentre la vicenda di mani pulite diventa più periferica a ogni puntata. In compenso vengono introdotte vicende storiche a riempimento, ma senza grande raziocinio: l’AIDS, lo scandalo delle case farmaceutiche e il sangue infetto, la strage di Capaci e l’attentato a Borsellino, la morte dei soldati in Iraq per l’uranio impoverito…
Insomma, sembra che gli sceneggiatori si siano fatti prendere la mano dall’entusiasmo ma alla fine abbiano perso il filo della storia.
Le integrazioni fra realtà e fiction sono infelici.
Scoprire che Di Pietro si è fatto suggerire l’idea di Tangentopoli dal protagonista meno protagonista della storia della tv italiana è deludente. Molto più divertente è sapere che la discesa in campo di Berlusconi viene #daunideadistefanoaccorsi.
Pian piano il plot si trasforma inesorabilmente in flop perdendo aderenza con la credibilità e la realtà dell’epoca, deragliando quindi sulle singole storie di fiction. Peccato che queste ultime siano banali.
E gli intrecci sono forzati, a volte addirittura incongruenti (l’impressione finale è che una folata di vento abbia sparpagliato le pagine del copione e gli sceneggiatori abbiano cercano inutilmente di ristabilirne l’ordine).
Conclusione: 1992 è un lontano parente di Gomorra, al limite può essere figlio di 100 vetrine.
P.S.
La buona notizia è che lunedì è ripartita la stagione finale di Mad Men.
Per scoprire la sottile differenza tra questa serie e 1992, basta guardare una qualsiasi presentazione di Donald Draper. Dopodiché provate a paragonarla alla scena in cui #daunideadistefanoaccorsi nasce la prima campagna con Giovanni Rana (con annesso il peggior product placement di sempre).